Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte, ovvero dei confini della pittura e della poesia (1766): - PowerPoint PPT Presentation

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Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte, ovvero dei confini della pittura e della poesia (1766):

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Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte, ovvero dei confini della pittura e della poesia (1766): Se vero che la pittura adopera per le sue imitazioni mezzi o segni ... – PowerPoint PPT presentation

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Title: Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte, ovvero dei confini della pittura e della poesia (1766):


1
Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte,ovvero dei
confini della pittura e della poesia (1766)
Se è vero che la pittura adopera per le sue
imitazioni mezzi o segni completamente diversi da
quelli della poesia ovvero quella figure e
colori nello spazio, mentre questa suoni
articolati nel tempo e se i segni devono avere
indubbiamente un rapporto adeguato con il
designato, allora i segni ordinati luno accanto
allaltro possono a loro volta avere solo oggetti
esistenti luno accanto allaltro, o le cui parti
esistono luna accanto allaltra, mentre segni
che si susseguono possono esprimere oggetti che
si susseguono o le cui parti si susseguono.
2
Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte,ovvero dei
confini della pittura e della poesia (1766)
Oggetti che esistono luno accanto allaltro,
o le cui parti esistono luna accanto allaltra,
si chiamano corpi. Di conseguenza sono i corpi,
con le loro qualità visibili, i veri oggetti
della pittura. Oggetti che si susseguono lun
laltro, o le cui parti si susseguono, si
chiamano in generale azioni. Di conseguenza le
azioni sono i veri oggetti della poesia. È
dunque certo la successione temporale è lambito
del poeta, così come lo spazio è lambito del
pittore. Mettere due momenti necessariamente
lontani nello stesso quadro è unintrusione
del pittore nellambito del poeta . Enumerare
al lettore passo dopo passo le molte parti o cose
che in natura devo necessariamente vedere dun
tratto è unintrusione del poeta nellambito
del pittore.
3
Gérard Genette, La letteratura e lo spazio (1969)
Può sembrare paradossale parlare di spazio a
proposito della letteratura apparentemente,
infatti, il modo di esistenza di unopera
letteraria è essenzialmente temporale, poiché
latto di lettura con il quale noi realizziamo
lessere virtuale di un testo scritto è fatto,
come lesecuzione di una partitura musicale, di
una successione di istanti che si compie nella
durata, nella nostra durata.
4
Gérard Genette, La letteratura e lo spazio (1969)
Può sembrare paradossale parlare di spazio a
proposito della letteratura apparentemente,
infatti, il modo di esistenza di unopera
letteraria è essenzialmente temporale, poiché
latto di lettura con il quale noi realizziamo
lessere virtuale di un testo scritto è fatto,
come lesecuzione di una partitura musicale, di
una successione di istanti che si compie nella
durata, nella nostra durata. Tuttavia si può,
anzi si deve considerare anche la letteratura nei
suoi rapporti con lo spazio.
5
Michail Bachtin, Estetica e romanzo (1975)
Chiameremo cronotopo (il che significa
letteralmente tempospazio) linterconnessione
sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei
quali la letteratura si è impadronita
artisticamente. Questo termine è usato nelle
scienze matematiche ed è stato introdotto e
fondato sul terreno della relatività (Einstein).
A noi non interessa il significato speciale che
esso ha nella teoria della relatività e lo
trasferiamo nella teoria della letteratura quasi
come una metafora (quasi, non del tutto) a noi
interessa che in questo termine sia espressa
linscindibilità dello spazio e del tempo (il
tempo come quarta dimensione dello spazio).
6
Franz Kakfa, La metamorfosi
Un mattino, al risveglio da sogni inquieti,
Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme
insetto.
7
Italo Calvino, Cominciare e finire (1985)
Linizio dun romanzo è lingresso in un
mondo diverso, con caratteristiche fisiche,
percettive, logiche tutte sue. Linizio è
anche lingresso in un mondo completamente
diverso un mondo verbale. Fuori, prima
dellinizio cè o si suppone che ci sia un mondo
completamente diverso, il mondo non scritto, il
mondo vissuto o vivibile. Passata questa soglia
si entra in un altro mondo, che può intrattenere
col primo rapporto decisi volta per volta, o
nessun rapporto. Linizio è il luogo letterario
per eccellenza perché il mondo di fuori per
definizione è continuo, non ha limiti visibili.
Studiare le zone di confine dellopera letteraria
è osservare i modi in cui loperazione letteraria
comporta riflessioni che vanno al di là della
letteratura ma che solo la letteratura può
esprimere.
8
Michel Butor, Philosophie de lameublement
(1964)
Un romanzo è innanzitutto un oggetto, un
libro, quel volume sulla nostra biblioteca
Quando lo apriamo, quando i nostri occhi scorrono
tra le pagine, la stanza in cui ci troviamo
incomincia a lasciare posto a un altro luogo
. Me ne vado così camminando di luogo in
luogo, guidato dalle frasi dellautore faccio
sorgere davanti a me arredi, mobili, volti mi
aggiro in uno spazio secondo, ingombro o
vuoto, amorfo o regolato, orientato, polarizzato
o neutro.
9
Stendhal, Il rosso e il nero (1830)
La cittadina di Verrières può essere
considerata una delle più graziose della Franca
Contea. Le sue case bianche, dai tetti aguzzi e
dalle tegole rosse, si arrampicano sul declivio
di una collina dove macchie di vigorosi castagni
mettono in risalto ogni minima sinuosità. Il
Doubs scorre qualche centinaio di piedi sotto le
fortificazioni costruite un tempo dagli spagnoli
e ora in rovina. A nord la città è protetta da
un'alta montagna, diramazione del Giura. I primi
freddi d'ottobre coprono di neve le cime
frastagliate del Verra. Un torrente, precipitando
dalla montagna, attraversa Verrières prima di
gettarsi nel Doubs e mette in moto un gran numero
di segherie industria assai semplice che dà
lavoro alla maggior parte degli abitanti,
contadini più che borghesi. Non è questa,
tuttavia, la fonte di maggior ricchezza per la
cittadina. Il benessere generale che, dopo la
caduta di Napoleone, ha consentito di ricostruire
le facciate di quasi tutte le case di Verrières è
dovuto alla fabbrica di tele stampate, dette di
Mulhouse.
10
Stendhal, Il rosso e il nero (1830)
Nota alla fine del romanzo Per evitare ogni
riferimento alla vita privata lautore ha
inventato una cittadina, Verrières, e quando ha
avuto bisogno di un vescovo, di una giuria, di
una corte dAssise li ha ambientati sullo sfondo
di Besançon, dove non è mai stato Stendhal,
Lettera del 29 ott. 1832 al Conte Salvagnoli
Verrières è una delle più graziose cittadine
della Franca Contea, costruita sul declivio di
una collina, in mezzo a macchie di grandi
castagni. Ai piedi di questa collina, verso
mezzogiorno, scorre il Doubs, uno dei fiumi più
pittoreschi della Francia. Dal lato nord la città
è protetta da una delle montagne del Giura.
Verrières, in questo libro, è un luogo
immaginario, che lautore ha scelto come tipo
delle città di provincia
11
Stendhal, Il rosso e il nero (1830)
Georges Blin, Stendhal et les problèmes du roman
(1954)Per convincerci che la sua Verrières
esiste, o, se vogliamo, che è preesistita al
dramma che vi si è svolto, la pone come
sussistente alla data in cui la storia viene
raccontata, la descrive non come era ma come è,
il che, fin dallinizio, tende a smentire che ci
si trovi in presenza di un romanzo .... In
questo modo, siamo indotti a mettere tra
parentesi il carattere chimerico e ipotetico del
tempo in cui la storia si iscrive.
12
Stendhal, Il rosso e il nero (1830)
Entrando in città si rimane storditi A peine
entre-t-on dans la ville que l'on est étourdi
dal fracasso di una macchina rumorosa e terribile
a vedersi. Venti pesanti martelli, che si
abbattono con un frastuono tale da far tremare il
selciato, sono sollevati da una ruota spinta
dall'acqua del torrente. Ogni giorno ciascuno di
questi martelli fabbrica chi sa quante migliaia
di chiodi. E sono ragazze giovani e graziose,
quelle che sottopongono ai colpi di questi enormi
martelli i pezzettini di ferro che vengono poi
trasformati rapidamente in chiodi. Questo lavoro,
così duro in apparenza, è uno dei più
stupefacenti per il viaggiatore le voyageur che
si spinge per la prima volta sulle montagne, al
confine tra la Francia e la Svizzera. Se poi il
viaggiatore, entrando a Verrières, chiede di chi
è la bella fabbrica di chiodi che assorda i
passanti sulla via principale, gli viene risposto
con accento strascicato Ah! è del signor
sindaco!
13
Stendhal, Il rosso e il nero (1830)
E per poco che il viaggiatore si fermi alcuni
istanti in questa grande via principale, che sale
dalle rive del Doubs fin verso la sommità della
collina, c'è da scommettere cento contro uno che
vedrà comparire un uomo robusto dall'aria
indaffarata e imponente. Al suo apparire tutte
le teste si scoprono rapidamente. I suoi capelli
tendono al grigio, e grigio è il suo vestito.
Ma, ben presto, il viaggiatore che viene da
Parigi le voyageur parisien è colpito da un
certo che di compiacimento e di sufficienza,
misto a qualcosa di limitato e privo di fantasia.
Alla fine ci si accorge on sent enfin che il
talento di quest'uomo si limita alla capacità di
farsi pagare con grande esattezza dai debitori, e
di pagare, a sua volta, il più tardi possibile.
14
Stendhal, Il rosso e il nero (1830)
Tale è il sindaco di Verrières, signor de
Rênal. Dopo aver attraversato la via con andatura
imponente, egli entra nel municipio e scompare
agli occhi del viaggiatore. Ma se quest'ultimo
continua la sua passeggiata, dopo cento passi
vede una casa abbastanza bella e, attraverso una
cancellata, degli splendidi giardini. Più oltre,
la linea dell'orizzonte è disegnata dalle colline
della Borgogna e sembra fatta apposta per la
gioia degli occhi. Questa vista fa scordare al
viaggiatore l'atmosfera appestata dai piccoli
interessi commerciali che cominciano ad
asfissiarlo. Viene informato on lui apprend
que che quella è la casa del sindaco. I profitti
della grande fabbrica di chiodi hanno consentito
al primo cittadino di Verrières di costruire
questa bella dimora di pietra squadrata, da poco
finita.
15
Stendhal, Il rosso e il nero (1830)
Anche le terrazze, che sostengono le diverse
parti di questo splendido giardino e che di balza
in balza scendono fino al Doubs, sono dovute alla
perizia di Rênal nel commercio del ferro. Non
aspettatevi di trovare in Francia ne vous
attendez point à trouver en France i pittoreschi
giardini che circondano le città manifatturiere
della Germania, come Lipsia, Francoforte,
Norimberga, ecc. Nella Franca Contea più si
costruiscono muri, più si arricchiscono le
proprietà di pietre poste l'una sull'altra, e più
si ha diritto al rispetto dei vicini. I giardini
di Rênal, irti di muri, sono ammirati anche
perché abbracciano lembi di terreno comperato a
peso d'oro. Ad esempio, quella segheria che vi ha
colpito vous a frappé al vostro ingresso in
Verrières per la sua singolare posizione sul
Doubs, e dove avete notato vous avez remarqué
sul tetto una tavola col nome SOREL scritto a
lettere cubitali, sei anni or sono sorgeva
sull'area della quarta terrazza dei giardini di
Rênal, attualmente in costruzione.
16
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
Quel ramo del lago di Como, che volge a
mezzogiorno, tra due catene non interrotte di
monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello
sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a
un tratto, a ristringersi, e a prender corso e
figura di fiume, tra un promontorio a destra, e
un'ampia costiera dall'altra parte e il ponte,
che ivi congiunge le due rive, par che renda
ancor più sensibile all'occhio questa
trasformazione, e segni il punto in cui il lago
cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi
nome di lago dove le rive, allontanandosi di
nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi
in nuovi golfi e in nuovi seni.
17
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
La costiera, formata dal deposito di tre grossi
torrenti, scende appoggiata a due monti contigui,
l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce
lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli
in fila, che in vero lo fanno somigliare a una
sega talché non è chi, al primo vederlo, purché
sia di fronte, come per esempio di su le mura di
Milano che guardano a settentrione, non lo
discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella
lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome
più oscuro e di forma più comune. Per un buon
pezzo, la costa sale con un pendìo lento e
continuo poi si rompe in poggi e in valloncelli,
in erte e in ispianate, secondo l'ossatura de'
due monti, e il lavoro dell'acque. Il lembo
estremo, tagliato dalle foci de' torrenti, è
quasi tutto ghiaia e ciottoloni il resto, campi
e vigne, sparse di terre, di ville, di casali in
qualche parte boschi, che si prolungano su per la
montagna.
18
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
Lecco, la principale di quelle terre, e che dà
nome al territorio, giace poco discosto dal
ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a
trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa
un gran borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina
a diventar città. Dall'una all'altra di
quelle terre, dall'alture alla riva, da un poggio
all'altro, correvano, e corrono tuttavia, strade
e stradette, più o men ripide, o piane ogni
tanto affondate, sepolte tra due muri, donde,
alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di
cielo e qualche vetta di monte ogni tanto
elevate su terrapieni aperti e da qui la vista
spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi
sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i
diversi punti piglian più o meno della vasta
scena circostante, e secondo che questa o quella
parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a
vicenda.
19
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
Il luogo stesso da dove contemplate que' vari
spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte il
monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al
di sopra, d'intorno, le sue cime e le balze,
distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo,
aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v'era
sembrato prima un sol giogo, e comparendo in
vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava
sulla costa e l'ameno, il domestico di quelle
falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna
vie più il magnifico dell'altre vedute.
20
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
Per una di queste stradicciole, tornava bel bello
dalla passeggiata verso casa, sulla sera del
giorno 7 novembre dell'anno 1628, don Abbondio,
curato d'una delle terre accennate di sopra il
nome di questa, né il casato del personaggio, non
si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né
altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e
talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il
breviario, tenendovi dentro, per segno, l'indice
della mano destra, e, messa poi questa nell'altra
dietro la schiena, proseguiva il suo cammino,
guardando a terra, e buttando con un piede verso
il muro i ciottoli che facevano inciampo nel
sentiero poi alzava il viso, e, girati
oziosamente gli occhi all'intorno, li fissava
alla parte d'un monte, dove la luce del sole già
scomparso, scappando per i fessi del monte
opposto, si dipingeva qua e là sui massi
sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di
porpora.
21
Charles Dickens, Grandi speranze (1860)
Pirrip era il cognome di mio padre e Philip il
mio nome di battesimo, ma la mia lingua infantile
non riuscì a cavarne nulla di più lungo o più
esplicito di Pip. Sicché cominciai a chiamare me
stesso Pip e Pip mi chiamarono gli altri My
father's family name being Pirrip, and my
Christian name Philip, my infant tongue could
make of both names nothing longer or more
explicit than Pip. So, I called myself Pip, and
came to be called Pip. In quanto al cognome
Pirrip, mi baso sull'autorità della tomba di mio
padre e su mia sorella - la moglie di Joe
Gargery, il fabbro. Non avendo mai visto mio
padre o mia madre e neppure una loro immagine (a
quei tempi l'era della fotografia era ancora
lontana), le mie prime fantasie sul loro aspetto
derivarono, assurdamente, dalle pietre tombali.
22
Charles Dickens, Grandi speranze (1860)
La forma delle lettere su quella di mio padre,
suscitò in me la strana idea che fosse un uomo
quadrato, robusto, scuro, con capelli neri e
ricci. I caratteri e il tenore dell'epitaffio
ANCHE GEORGIANA MOGLIE DEL SUDDETTO, mi portarono
ingenuamente a concludere che mia madre fosse
lentigginosa e malaticcia. A cinque piccole
losanghe di pietra, lunghe circa due palmi,
ordinatamente disposte in fila accanto alla tomba
e consacrate alla memoria dei miei cinque
fratellini - che smisero ben presto di
arrabattarsi e lottare per sopravvivere - sono
debitore di una certezza in cui credevo
fervidamente, e cioè che fossero nati supini con
le mani in tasca, e che ve le avessero tenute
sinché erano rimasti su questa terra.
23
Charles Dickens, Grandi speranze (1860)
Avevamo la palude, giù in basso lungo il fiume, a
non più di venti miglia dal mare - nel tratto in
cui si formava l'ansa. Credo di aver avuto la
prima percezione, estremamente vivida e netta,
dell'identità delle cose, in un rigido memorabile
pomeriggio, all'imbrunire. Fu allora che scoprii
con certezza che quel luogo desolato coperto di
ortiche era il cimitero e che Philip Pirrip,
defunto di questa parrocchia, e anche Georgiana
moglie del suddetto, erano morti e sepolti e che
Alexander, Bartholomew, Abraham, Tobias e Roger,
bambini del sunnominato, erano anch'essi morti e
sepolti e che la piatta distesa fosca al di là
del cimitero, intersecata da canali, argini e
barriere, su cui pascolava sparso il bestiame,
era la palude e che la bassa linea livida più
giù era il fiume e che la tana remota e
selvaggia da cui si scatenava il vento, era il
mare e che il mucchietto di brividi che sentiva
crescere la paura di ogni cosa e si metteva a
piangere, era Pip.
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Charles Dickens, Grandi speranze (1860)
Silenzio!, gridò una voce tremenda mentre
un uomo sbucava tra le tombe, di fianco al
portico della chiesa. Sta zitto, piccolo
demonio, se non vuoi che ti taglio la gola!.
Un uomo spaventoso, vestito di ruvido panno
grigio, con un grosso cerchio di ferro alla
gamba. Un uomo senza cappello, con le scarpe
rotte e un vecchio straccio legato intorno alla
testa. Rimasto a macerare nell'acqua, a soffocare
nel fango, azzoppato da pietre, ferito da sassi,
punto da ortiche, graffiato da rovi un uomo
zoppo e tremante, truce e torvo, che batteva i
denti afferrandomi per il mento.
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Charles Dickens, Grandi speranze (1860)
Quando mi fermai a guardarlo, la palude era
solo una linea orizzontale lunga e nera e anche
il fiume era solo una linea orizzontale, molto
più stretta, ancora non così buia e il cielo era
solo un insieme di lunghe, irate linee rosse
frammiste a spesse linee nere. In riva al fiume
riuscivo a malapena a distinguere le uniche due
cose nere che parevano ergersi sul paesaggio
piatto. Una era la boa che serviva da segnale ai
marinai - simile a una botte senza cerchi in cima
a un palo - una brutta cosa, a vederla da vicino
l'altra era una forca, da cui pendevano delle
catene che un tempo avevano avvinto un pirata.
L'uomo zoppicando vi si avvicinava, quasi fosse
il pirata tornato in vita, disceso dalla forca e
intenzionato a risalirvi per impiccarsi un'altra
volta. Nel pensarlo, trasalii dal terrore . Mi
guardai tutt'intorno alla ricerca dell'orrendo
giovane senza scoprirne traccia. Ma a quel punto
ero di nuovo pieno di paura e scappai a casa
senza fermarmi.
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Gustave Flaubert, Leducazione sentimentale
(1869)
Il 15 settembre 1840, verso le sei del
mattino, il Ville-de-Montereau, sul punto di
partire, lanciava grosse spire di fumo davanti al
quai Saint-Bernard. Arrivava gente trafelata
barili, rotoli di corda, cesti di biancheria
ingombravano il passaggio i marinai non davan
retta a nessuno urti, spintoni i bagagli
venivano issati a bordo fra i due tamburi e il
baccano si scioglieva nel fischio vago e denso
dei vapore che sprigionandosi tra fogli di
lamiera avvolgeva tutto in una nube biancastra
mentre la campana, a prua, non smetteva di
rintoccare. Finalmente la nave partì e le
due rive cominciarono a svolgersi come due larghi
nastri trascinando via la loro processione di
magazzini, fabbriche, cantieri.
27
Gustave Flaubert, Leducazione sentimentale
(1869)
Un giovane di diciott'anni, con i capelli
lunghi, se ne stava immobile vicino al timone
tenendo un album sotto il braccio. Guardava
passare, nella nebbia, campanili e palazzi di cui
non sapeva il nome a un tratto, con un'ultima
occhiata, abbracciò l'Île Saint-Louis, la Cité,
Notre-Dame poi, mentre Parigi scompariva
rapidamente, si lasciò sfuggire un gran sospiro.
28
Gustave Flaubert, Leducazione sentimentale
(1869)
Superati da poco gli esami di baccelliere,
Federico Moreau stava tornando a Nogent-sur-Seine
dove gli sarebbe toccato di languire per due mesi
prima di ripartire per andarsi a iscrivere a
legge. Sua madre l'aveva spedito a Le Havre, con
i soldi contati, per far visita a uno zio dal
quale sperava che il figlio potesse ereditare.
Federico n'era tornato soltanto il giorno prima,
e si rammaricava che non gli fosse riuscito -
rincasando per la via più lunga - di fermarsi un
po' nella capitale.
29
Gustave Flaubert, Leducazione sentimentale
(1869)
La confusione diminuiva, tutti i passeggeri
s'erano sistemati qualcuno si scaldava stando in
piedi vicino alla macchina mentre la ciminiera
buttava su, a intervalli precisi, il suo
pennacchio nero con una specie di rantolo.
Piccole gocce di rugiada imperlavano gli ottoni
il ponte sussultava d'una continua leggera
vibrazione interna e le ruote, girando, battevano
rapide l'acqua. Le rive del fiume, ora, eran
sabbiose. S'incontravano, lungo il percorso,
carichi di legname che al rimescolio delle onde
si mettevano a ondeggiare o, seduto in una barca
a remi, un uomo intento alla pesca poi le nebbie
vaganti si sciolsero, e venne fuori il sole la
collina che seguiva da destra il corso della
Senna s'appiattì a poco a poco mentre un'altra,
più vicina, prendeva forma sulla riva opposta.
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Gustave Flaubert, Leducazione sentimentale
(1869)
Gli alberi che le facevan corona circondavano
case basse coi tetti all'italiana, giardini in
declivio cintati da muri nuovi, cancellate di
ferro, distese d'erba, serre, vasi di gerani
posati a distanze regolari su balaustre alle
quali doveva esser comodo affacciarsi. Vedendo
quelle dimore così graziose, così tranquille, più
d'un passeggero avrebbe voluto esserne il
proprietario, passare là il resto dei suoi giorni
con un buon biliardo, una barca, una moglie o
qualche altra dolcezza. L'incanto tutto nuovo
d'una gita fluviale favoriva le confidenze. Gli
spiritosi della compagnia cominciavano a darsi da
fare. Molti cantavano o si versavan da bere. Si
stava allegri.
31
Gustave Flaubert, Leducazione sentimentale
(1869)
Henri Mitterand, LIllusion réaliste (1994)
Ecco che fin dallinizio si estende davanti ai
nostri occhi, sullo schermo del nostro sogno di
lettori, il panorama di un paesaggio parigino. Ed
eccoci quasi imbarcati con Frédéric Moreau su
questo battello, che lascia lIle Saint-Louis, la
Cité, Notre-Dame, scivola lungo la Senna e risale
il fiume in direzione di Nogent-sur-Seine. Una
superba apertura romanzesca, questa prima pagina,
che abbraccia in un colpo solo Parigi e il suo
fiume, la città e le rive rurali, il campo del
paesaggio e il controcampo del battello, la
collettività anonima dei passeggeri e la sagoma
delineata di Frédéric, seguendo questo motivo
della partenza che inaugura un triplice spazio
32
Gustave Flaubert, Leducazione sentimentale
(1869)
Henri Mitterand, LIllusion réaliste (1994) lo
spazio del fiume, che trasporta Frédéric Moreau
in un viaggio al tempo stesso iniziatico e
regressivo ritorna, come sappiamo, risalendo il
corso del fiume, verso il girone materno lo
spazio di una carriera, quella che tenterà, come
dicono le prime righe, M. Frédéric Moreau,
nouvellement reçu bachelier e infine lo spazio
della lettura, lo spazio del libro, in seno al
quale il lettore inizia a sua volta un viaggio
immaginario, sul ritmo di quello del personaggio.
33
Franz Kafka, Il castello (1926)
Era sera tarda quando K. arrivò. Il paese era
sprofondato nella neve. Il colle non si vedeva,
nebbia e tenebre lo circondavano, non il più
debole chiarore rivelava il grande castello. K.
sostò a lungo sul ponte di legno che dalla strada
maestra conduceva al paese e guardò su nel vuoto
apparente. Poi andò a cercare un alloggio
per la notte alla locanda erano ancora svegli,
l'oste non aveva stanze libere ma, assai stupito
e sconcertato da quel cliente tardivo, offrì di
farlo dormire nella sala su un pagliericcio. K.
fu d'accordo. Alcuni contadini sedevano ancora
davanti alla loro birra, ma egli non volle
parlare con nessuno, andò a prendersi da solo il
pagliericcio in solaio e si coricò vicino alla
stufa. Faceva caldo, i contadini erano
silenziosi, egli li osservò ancora un poco con
gli occhi stanchi, poi si addormentò.
34
Franz Kafka, Il castello (1926)
Ma non passò molto che fu svegliato. Un giovane
in abito cittadino con un viso da attore, occhi
sottili, sopracciglia folte, stava accanto a lui
insieme all'oste. I contadini erano ancora lì,
alcuni avevano girato la sedia per vedere e udire
meglio. Il giovane si scusò molto gentilmente di
aver svegliato K., si presentò come figlio del
custode del castello, poi disse Questo paese
appartiene al castello, chi vi abita o pernotta
in certo modo abita e pernotta nel castello.
Nessuno può farlo senza il permesso del conte. Ma
lei questo permesso non ce l'ha, o almeno non
l'ha esibito. K., che si era levato a
sedere, si ravviò i capelli, guardò i due dal
basso in alto e disse In che paese mi sono
perso? C'è un castello qui?.
35
Franz Kafka, Il castello (1926)
Ma sappia intanto che sono l'agrimensore fatto
venire dal signor conte. I miei aiutanti mi
raggiungeranno domani in carrozza con gli
strumenti. Io non ho voluto rinunciare a una
passeggiata nella neve, ma purtroppo ho sbagliato
strada più volte, e per questo sono arrivato così
tardi
36
Bertrand Westphal, La Géocritique.Réel, fiction,
espace (2007)
Il luogo letterario è un mondo virtuale che
interagisce in forma modulabile con il mondo di
riferimento. Il grado di adeguamento delluno
allaltro può variare da zero allinfinito.
Lo spazio trascritto può non avere alcun
referente in compenso può tendere ad
appropriarsi integralmente di una serie di
determinati realemi. Se prendiamo le città
invisibili di Italo Calvino, ammetteremo
facilmente che sono separate da qualunque
referente . La stessa osservazione si applica
a tutti gli spazi esplicitamente immaginari della
letteratura. Ma se un referente si manifesta,
appaiono nuove varianti Capita che lautore
manipoli il piano delle apparenze. La
rappresentazione può mostrare un (certo) grado di
conformità con il referente ma può anche giocare
con esso, prendersi gioco di esso e del lettore.
37
Roman Ingarden, The Literary Work of Art (1965)
Se oggetti, animali e uomini vengono
rappresentati in unopera letteraria, lo spazio
che viene rappresentato intorno ad essi non è
astratto e geometrico, o omogeneo e fisico
piuttosto, è il tipo di spazio che corrisponde
allo spazio percettivamente dato.
38
Roman Ingarden, The Literary Work of Art (1965)
Facciamo il caso che in un romanzo, per
esempio, una situazione venga rappresentata in
una data stanza e che non ci sia alcuna
indicazione, nemmeno con una singola parola, che
esista qualcosa al di fuori di questa stanza.
Certamente non si può dire che al di fuori del
segmento spaziale circoscritto dai muri della
stanza non esista assolutamente alcuno spazio e
che quindi ci sia un completo nulla. Daltro
canto, sarebbe altrettanto falso dire che esiste
uno spazio intorno a questa stanza determinato da
corrispondenti unità di significato o
positivamente rappresentato da corrispondenti
stati di cose. Se lo spazio attualmente
rappresentato (allinterno della stanza) non
finisce contro i muri, è solo perché è
nellessenza dello spazio in generale non avere
alcuna discontinuità.
39
Roman Ingarden, The Literary Work of Art (1965)
È solo grazie allimpossibilità della
discontinuità spaziale che lo spazio al di fuori
della stanza viene corappresentato
conseguentemente, lo spazio allinterno della
stanza diventa a sua volta un segmento di spazio.
Così, quando lautore di un romanzo ci
trasporta dal luogo A al luogo B senza
mostrarci lintero percorso tra A e B, lo spazio
intermedio tra i due punti non viene
positivamente determinato e rappresentato ma,
ancora una volta, corappresentato, in virtù
dellimpossibilità della discontinuità spaziale.
40
Ruth Ronen, Space in Fiction (1986)
Un luogo, come ogni altra entità reale, è
inesauribile nella misura in cui comprende una
numero virtualmente infinito di aspetti,
caratteristiche e proprietà. Un testo letterario
necessariamente impone una scelta di qualità
dalle quali il costrutto spaziale emerge come una
costellazione chiusa di proprietà.
41
Seymour Chatman, Storia e discorso (1978)
Lo spazio nel cinema è letterale, vale a
dire che oggetti, dimensioni e relazioni sono
analoghi, almeno bidimensionalmente, a quelli del
mondo reale. Nella narrativa verbale lo spazio è
astratto e richiede una ricostruzione mentale.
Nella narrativa verbale lo spazio è
doppiamente lontano dal lettore, poiché non vi è
unimmagine iconica o analogica fornita da forme
proiettate su uno schermo. Gli esistenti e il
loro spazio vengono, per così dire, visti
nellimmaginazio-ne e trasformati da parole in
proiezioni mentali. Non vi è una visione
standard degli esistenti come accade nel cinema.
Leggendo il libro ognuno si crea una propria
immagine mentale delle Cime tempestose. Invece
nelladattamento cinematografico laspetto è
fissato per tutti.
42
Jurij M. Lotman, Il problema dello spazio
artisticoin Gogol (1968)
Nellopera letteraria lo spazio artistico è
un continuo in cui si dispongono i personaggi e
si svolge lazione. Una percezione ingenua spinge
costantemente il lettore a identificare spazio
artistico e spazio fisico. Questo atteggiamento
percettivo coglie comunque un pizzico di verità,
poiché anche nei momenti in cui viene messa a
nudo la funzione di uno spazio artistico che
modellizza rapporti extraspaziali, esso
immancabilmente conserva limmagine della sua
natura fisica. Lo spazio artistico non è però
un ricettacolo passivo di episodi e personaggi.
Le sue connessioni con questi ultimi, e con
limmagine generale del mondo creato dal testo,
ci persuadono che il suo linguaggio non è un
recipiente vuoto, ma una delle componenti di
quella lingua universale in cui si esprimono le
opere darte.
43
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a
somiglianza d'una bicocca, sulla cima d'uno de'
poggi ond'è sparsa e rilevata quella costiera. A
questa indicazione l'anonimo aggiunge che il
luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla
buona il nome) era più in su del paesello degli
sposi, discosto da questo forse tre miglia, e
quattro dal convento. Appiè del poggio, dalla
parte che guarda a mezzogiorno, e verso il lago,
giaceva un mucchietto di casupole, abitate da
contadini di don Rodrigo ed era come la piccola
capitale del suo piccol regno. Bastava passarvi,
per esser chiarito della condizione e de' costumi
del paese. Dando un'occhiata nelle stanze
terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si
vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni,
zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e
fiaschetti da polvere, alla rinfusa.
44
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
La gente che vi s'incontrava erano omacci
tarchiati e arcigni, con un gran ciuffo
arrovesciato sul capo, e chiuso in una reticella
vecchi che, perdute le zanne, parevan sempre
pronti, chi nulla nulla gli aizzasse, a digrignar
le gengive donne con certe facce maschie, e con
certe braccia nerborute, buone da venire in aiuto
della lingua, quando questa non bastasse ne'
sembianti e nelle mosse de' fanciulli stessi, che
giocavan per la strada, si vedeva un non so che
di petulante e di provocativo.
45
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
Si distinguevano i villaggi, le case, le capanne
il palazzotto di don Rodrigo, con la sua torre
piatta, elevato sopra le casucce ammucchiate alla
falda del promontorio, pareva un feroce che,
ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia
d'addormentati, vegliasse, meditando un delitto.
Lucia lo vide, e rabbrividì scese con l'occhio
giù giù per la china, fino al suo paesello,
guardò fisso all'estremità, scoprì la sua
casetta, scoprì la chioma folta del fico che
sopravanzava il muro del cortile, scoprì la
finestra della sua camera e, seduta, com'era,
nel fondo della barca, posò il braccio sulla
sponda, posò sul braccio la fronte, come per
dormire, e pianse segretamente.
46
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
Il castello dell'innominato era a cavaliere a una
valle angusta e uggiosa, sulla cima d'un poggio
che sporge in fuori da un'aspra giogaia di monti,
ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad
essa o separatone, da un mucchio di massi e di
dirupi, e da un andirivieni di tane e di
precipizi, che si prolungano anche dalle due
parti. Quella che guarda la valle è la sola
praticabile un pendìo piuttosto erto, ma uguale
e continuato a prati in alto nelle falde a
campi, sparsi qua e là di casucce. Il fondo è un
letto di ciottoloni, dove scorre un rigagnolo o
torrentaccio, secondo la stagione allora serviva
di confine ai due stati. I gioghi opposti, che
formano, per dir così, l'altra parete della
valle, hanno anch'essi un po' di falda coltivata
il resto è schegge e macigni, erte ripide, senza
strada e nude, meno qualche cespuglio ne' fessi e
sui ciglioni.
47
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
Dall'alto del castellaccio, come l'aquila dal suo
nido insanguinato, il selvaggio signore dominava
all'intorno tutto lo spazio dove piede d'uomo
potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di
sopra di sé, né più in alto. Dando un'occhiata in
giro, scorreva tutto quel recinto, i pendìi, il
fondo, le strade praticate là dentro. Quella che,
a gomiti e a giravolte, saliva al terribile
domicilio, si spiegava davanti a chi guardasse di
lassù, come un nastro serpeggiante dalle
finestre, dalle feritoie, poteva il signore
contare a suo bell'agio i passi di chi veniva, e
spianargli l'arme contro, cento volte. Del
resto, non che lassù, ma neppure nella valle, e
neppur di passaggio, non ardiva metter piede
nessuno che non fosse ben visto dal padrone del
castello.
48
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
A poco a poco, si trovò tra macchie più alte, di
pruni, di quercioli, di marruche. Seguitando a
andare avanti, e allungando il passo, con più
impazienza che voglia, cominciò a veder tra le
macchie qualche albero sparso e andando ancora,
sempre per lo stesso sentiero, s'accorse
d'entrare in un bosco. Provava un certo ribrezzo
a inoltrarvisi ma lo vinse, e contro voglia andò
avanti ma più che s'inoltrava, più il ribrezzo
cresceva, più ogni cosa gli dava fastidio. Gli
alberi che vedeva in lontananza, gli
rappresentavan figure strane, deformi, mostruose
l'annoiava l'ombra delle cime leggermente
agitate, che tremolava sul sentiero illuminato
qua e là dalla luna lo stesso scrosciar delle
foglie secche che calpestava o moveva camminando,
aveva per il suo orecchio un non so che d'odioso.
49
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
Le gambe provavano come una smania, un impulso di
corsa, e nello stesso tempo pareva che durassero
fatica a regger la persona. Sentiva la brezza
notturna batter più rigida e maligna sulla fronte
e sulle gote se la sentiva scorrer tra i panni e
le carni, e raggrinzarle, e penetrar più acuta
nelle ossa rotte dalla stanchezza, e spegnervi
quell'ultimo rimasuglio di vigore. A un certo
punto, quell'uggia, quell'orrore indefinito con
cui l'animo combatteva da qualche tempo, parve
che a un tratto lo soverchiasse. Era per perdersi
affatto ma atterrito, più che d'ogni altra cosa,
del suo terrore, richiamò al cuore gli antichi
spiriti, e gli comandò che reggesse. Così
rinfrancato un momento, si fermò su due piedi a
deliberare risolveva d'uscir subito di lì per la
strada già fatta, d'andar diritto all'ultimo
paese per cui era passato, di tornar tra gli
uomini, e di cercare un ricovero, anche
all'osteria.
50
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
E stando così fermo, sospeso il fruscìo de' piedi
nel fogliame, tutto tacendo d'intorno a lui,
cominciò a sentire un rumore, un mormorìo, un
mormorìo d'acqua corrente. Sta in orecchi n'è
certo esclama - è l'Adda! - Fu il ritrovamento
d'un amico, d'un fratello, d'un salvatore. La
stanchezza quasi scomparve, gli tornò il polso,
sentì il sangue scorrer libero e tepido per tutte
le vene, sentì crescer la fiducia de' pensieri, e
svanire in gran parte quell'incertezza e gravità
delle cose e non esitò a internarsi sempre più
nel bosco, dietro all'amico rumore.
51
Alessandro Manzoni, I promessi sposi (1840-42)
Renzo si fermò un momentino sulla riva a
contemplar la riva opposta, quella terra che poco
prima scottava tanto sotto i suoi piedi. "Ah! ne
son proprio fuori! - fu il suo primo pensiero. -
Sta' lì, maledetto paese", fu il secondo, l'addio
alla patria. Ma il terzo corse a chi lasciava in
quel paese. Allora incrociò le braccia sul petto,
mise un sospiro, abbassò gli occhi sull'acqua che
gli scorreva a' piedi, e pensò "è passata sotto
il ponte!" Così, all'uso del suo paese, chiamava,
per antonomasia, quello di Lecco. "Ah mondo
birbone! Basta quel che Dio vuole".
52
Honoré de Balzac (1799-1850)
  • 20 maggio 1799 Balzac nasce a Tours
  • Padre Bernard-François Balssa (cambierà poi il
    nome in Balzac), ha una serie di incarichi
    pubblici nellamministrazione napoleonica
  • Madre Laure Sallambier, proviene da una
    famiglia della piccola borghesia commerciale
    parigina
  • Si sposano nel 1797, quando lui ha 50 anni e lei
    18
  • Dal matrimonio nasceranno poi altri tre figli
    Laure, Laurence e Henri-François

53
Honoré de Balzac (1799-1850)
  • 1799-1804 Affidato a una balia a
    Saint-Cyr-sur-Loire, un sobborgo di Tours
  • 1804-1807 Rientra in famiglia e frequenta una
    scuola di Tours
  • 1807-1813 In collegio a Vendôme
  • 1813 Viene rimandato a casa per una ragione
    poco chiara
  • 1814 per alcuni mesi frequenta il liceo di
    Tours
  • Fine 1814 la famiglia si trasferisce a Parigi
  • 1814-1819 Prosegue gli studi a Parigi, prima al
    liceo Charlemagne poi alla Sorbona, dove studia
    giurisprudenza. Lavora anche come impiegato,
    prima nello studio di un avvocato poi in quello
    di un notaio

54
Honoré de Balzac (1799-1850)
  • 1819 Decide di diventare scrittore nel
    frattempo il padre è andato in pensione e la
    famiglia si è trasferita a Villeparisis
  • 1820 Scrive una tragedia, Cromwell, e un
    romanzo rimasto inedito, Sténie
  • 1821-24 Scrive una serie di romanzi che
    pubblica dietro pseudonimo. Lui stesso li
    definirà piccole operazioni di letteratura
    commerciale, o addirittura porcherie
    letterarie
  • 1822 Inizia una reazione con Laure de Berny
  • 1825 Inizia una nuova relazione con la duchessa
    dAbrantes
  • 1825-28 Fonda una casa editrice e una
    tipografia (chiuderà lattività con 60.000
    franchi di debiti)

55
Verso la Comédie Humaine
  • Tenta la strada del romanzo storico
  • 1826 Alfred de Vigny, Cinq-Mars
  • Balzac prende un episodio storico relativo ai
    conflitti postrivoluzionari in Vandea, avvenuto
    nel 1798
  • Scrive un romanzo, poi pubblicato nel 1829 ( il
    primo che firma con il suo vero nome) Le Dernier
    Chouan ou la Bretagne en 1800 (il cui titolo
    diventerà poi Les Chouans)

56
Verso la Comédie Humaine
  • Comincia a scrivere romanzi e racconti sulla
    società contemporanea
  • 1830 Scènes de la vie privée, due volumi che
    raccolgono sei novelle (diventeranno quindici in
    una nuova edizione dellopera, in 4 voll., 1832)
  • 1831 La Peau de chagrin, romanzo ripubblicato
    lo stesso anno in unopera in tre volumi, che
    raccoglie altri 12 testi, intitolata Romans et
    contes philosophiques
  • 1833 Le Medecin de campagne, Eugénie Grandet
    nello stesso anno conosce Mme Hanska
  • Fine 1833 Firma un contratto per la
    pubblicazione di una raccolta intitolata Études
    de moeurs au XIXe siècle, che dovrà essere
    articolata in tre sezioni Scènes de la vie
    privée, Scènes de la vie de province, Scènes de
    la vie parisienne (verranno pubblicati tra il
    1833 e il 1837).

57
Verso la Comédie Humaine
Balzac, Lettera del 26 ott. 1834 a Mme Hanska
Descrive larchitettura del suo grande
edificio Studi analitici (principi) Studi
filosofici (cause) Studi di costume
(effetti), articolati in 6 sezioni Scene della
vita privata di provincia parigina politica mil
itare di campagna
58
Verso la Comédie Humaine
Balzac, Lettera del 26 ott. 1834 a Mme Hanska
Credo che nel 1838 le tre parti di questopera
colossale saranno, se non portate a termine,
almeno poste una sopra laltra, e che se ne potrà
giudicare la massa. Gli Studi di costume
rappresenteranno tutti gli effetti sociali senza
che né una situazione della vita, né una
fisionomia, né un carattere duomo o di donna, né
un modo di vivere, né una professione, né una
zona sociale, né un paese di Francia, né un
qualsiasi aspetto dellinfanzia, della vecchiaia,
delletà matura, della politica, della giustizia,
della guerra sia stato dimenticato. Posto
tutto questo, tracciata filo per filo la storia
del cuore umano, fatta la storia sociale in ogni
sua parte, la base sarà pronta.
59
  • Si arriverà così al secondo basamento, gli Studi
    filosofici, perché, dopo gli effetti, verranno le
    cause. Negli Studi filosofici dirò le cause dei
    sentimenti, quello su cui si fonda la vita. Poi,
    dopo gli effetti e le cause, verranno gli Studi
    analitici, perché dopo gli effetti e le cause
    bisogna muovere alla ricerca dei principi. Così
    luomo, la società, lumanità saranno descritti,
    giudicati, analizzati senza ripetizioni, in
    unopera che sarà come le Mille e una notte
    dellOccidente.

60
Balzac e Le Père Goriot
  • Scritto tra la fine del 1834 e linizio del
    1835,
  • Pubblicato per la prima volta a puntate (Revue
    de Paris), tra il 14 dic. 1824 e il 1 gen 1835
  • Pubblicato poi in volume (editore Werdet) nel
    marzo 1835, con il sottotitolo Histoire
    parisienne seguiranno altre edizioni

61
Balzac e Le Père Goriot
  • Scritto tra la fine del 1834 e linizio del
    1835,
  • Pubblicato per la prima volta a puntate (Revue
    de Paris), tra il 14 dic. 1824 e il 1 gen 1835
  • Pubblicato poi in volume (editore Werdet) nel
    marzo 1835, con il sottotitolo Histoire
    parisienne seguiranno altre edizioni
  • Maurice Bardèche, Balzac romancier (1840) Nel
    1835, Balzac è ormai in possesso di tutti i suoi
    mezzi, la sua formazione di romanziere è
    terminata. Il Père Goriot è il risultato di tutti
    i suoi sforzi precedenti, e la base dellopera
    futura. Paragonato allopera anteriore di Balzac,
    il Père Goriot è una sorta di riassunto
    paragonato alla sua opera futura, è una sorta di
    preannuncio. Si tratta di una data capitale nella
    storia della sua opera

62
Il ritorno dei personaggi
Balzac, prefazione a Une fille dEve (1839)
RASTIGNAC (Eugène Louis), figlio primogenito del
barone e della baronessa di Rastignac, nato a
Rastignac, dipartimento della Charente, nel 1799
giunge a Parigi nel 1819, studia diritto, risiede
nella pensione Vauquer, vi incontra Jacques
Collin, detto Vautrin, e vi fa amicizia con
Horace Bianchon, il celebre medico. Ama Madame
Delphine de Nucingen nel momento in cui viene
lasciata da de Marsay, figlia di un tale Goriot,
ex commerciante di pasta, di cui Rastignac paga
il funerale. È uno dei leoni dellalta società
stringe amicizia con tutti i giovani del suo
tempo, con de Marsay, Beaudenord, dEstrigon,
Lucien de Rubempré, Émile Blondet, du Tillet,
Nathan, Paul de Manerville, Bixiou ecc.
63
Il ritorno dei personaggi
La storia della sua carriera si trova in La
Maison Nucingen riappare in quasi tutte le
scene, nel Cabinet des Antiques,
nellInterdiction. Sposa le sue due sorelle, una
a Martial de la Roche-Hugon, dandy del periodo
dellImpero, uno dei personaggi della Paix du
ménage laltra a un ministro. Il più giovane dei
suoi fratelli, Gabriel de Rastignac, segretario
del vescovo di Limoges nel Curé du village,
vicenda che si svolge nel 1828, è nominato
vescovo nel 1832 (vedi la Fille dÈve). Benché
discendente di unantica famiglia, accetta un
posto da sottosegretario di Stato nel miniestero
di de Marsay, dopo il 1830 (vedi le Scènes de la
vie politique), ecc.
64
Il ritorno dei personaggi
Balzac, Prefazione alla prima ed. di Illusions
perdues (1837) Qui ogni romanzo non rappresenta
che uno dei capitoli del grande romanzo della
società. I personaggi di ogni storia si muovono
in una sfera circoscritta da limiti che sono
quelli della società stessa. Quando uno di questi
personaggi viene fermato nel mezzo della sua
carriera, come Rastignac nel Père Goriot, è
perché voi dovete ritrovarlo in Profil de
marquise, nellInterdiction, nella Haute Banque,
e infine nella Peau de chagrin, che agisce nella
sua epoca a seconda della posizione sociale che
vi occupa e che affronta tutti gli avvenimenti a
cui partecipano nella realtà tutti gli uomini
eminenti. Questa osservazione si applica a quasi
tutti i personaggi che compaiono in questa lunga
storia della società
65
La Comédie Humaine
  • Geoffroy Saint-Hilaire
  • 1842 Balzac inizia a pubblicare la Comédie
    Humaine (editore Furne, 16 voll., fino al 1846),
    in cui raccoglie tutti i romanzi e i racconti che
    ha scritto fino a questo punto, e li suddivide in
    una serie di sezioni e di sottosezioni
  • Il primo volume è preceduto da una Prefazione
    (Avant-propos) in cui presenta il progetto,
    illustra i principi che lo reggono, fornisce una
    descrizione dettagliata della sua organizzazione
    interna

66
LAvant-propos della Comédie Humaine (1842)
La prima idea della Comédie humaine fu per me
allinizio come un sogno, come uno di quei
progetti impossibili che si accarezzano e che si
lasciano volare via una chimera che sorride, che
mostra il suo volto di donna e che subito spiega
le ali librandosi verso lalto in un cielo
fantastico. Ma la chimera, come molte chimere,
diventa realtà, ha le sue leggi e una sua
tirannia alle quali bisogna cedere. / Tale idea
ebbe origine da un confronto tra lUmanità e
lAnimalità
67
LAvant-propos della Comédie Humaine (1842)
Convinto da questa teoria il principio
dellunità di composizione di Geoffroy
Saint-Hilaire ben prima dei dibattiti ai quali
essa ha dato vita, osservai che, sotto questo
aspetto, la Società somigliava alla Natura. La
Società non fa forse delluomo, a seconda degli
ambiti nei quali la sua azione si dispiega, tanti
uomini differenti quante sono le specie nella
zoologia? Le differenze tra un soldato, un
operaio, un amministratore, un avvocato, un
ozioso, uno scienziato, un uomo di Stato, un
commerciante, un marinaio, un poeta, un povero,
un prete, benché più difficili da cogliere, sono
altrettanto degne di considerazione di quelle che
contraddistinguono il lupo, il leone, lasino, il
corvo, lo squalo ecc.
68
LAvant-propos della Comédie Humaine (1842)
Come esistono le Specie zoologiche, sono dunque
sempre esistite, e sempre perciò esisteranno, le
Specie Sociali. Se Buffon ha realizzato unopera
magnifica cercando di rappresentare in un libro
lintera zoologia, non restava da realizzare
unopera di questo genere anche per la Società?
69
LAvant-propos della Comédie Humaine (1842)
Come esistono le Specie zoologiche, sono dunque
sempre esistite, e sempre perciò esisteranno, le
Specie Sociali. Se Buffon ha realizzato unopera
magnifica cercando di rappresentare in un libro
lintera zoologia, non restava da realizzare
unopera di questo genere anche per la
Società?. Ma per le varietà animali la Natura
ha posto dei limiti che la Società non doveva
rispettare. Quando Buffon descriveva il leone,
esauriva la leonessa in poche frasi mentre nella
Società la donna non sempre si limita a essere la
femmina del maschio. Una coppia di sposi può
essere formata da due esseri del tutto dissimili.
La moglie di un mercante talvolta è degna di
essere quella di un principe e spesso quella di
un principe non vale quella di un artista. La
Vita associata è luogo di combinazioni che la
sola Natura non si può permettere perché è frutto
dellunione della Natura e della Società.
70
LAvant-propos della Comédie Humaine (1842)
Buffon ha poi scoperto che la vita presso gli
animali è estremamente semplice. Lanimale ha
poco mobilio, non possiede arti né scienze,
mentre luomo, in virtù di una legge che è ancora
da scoprire, tende a rappresentare i suoi usi, il
suo pensiero e la sua vita in tutto ciò che
adegua alle proprie esigenze. Le abitudini di
ogni animale sono, almeno ai nostri occhi,
costantemente simili in ogni tempo, mentre le
abitudini, labbigliamento, le parole, le dimore
di un principe, di un banchiere, di un artista,
di un borghese, di un prete e di un povero sono
completamente differenti e cambiano a seconda
delle civiltà
71
LAvant-propos della Comédie Humaine (1842)
Scott non ha pensato a collegare le sue opere
luna allaltra in modo da creare una storia
completa in cui ogni capitolo sarebbe stato un
romanzo e ogni romanzo unepoca
72
Quartiere latino
Pantheon
Pensione Vauquer
Pensione Vauquer
Val-de-Grâce

Faubourg Saint-Marceau
73
All is true
  • Lespressione All is true
  • Si riferisce alla tragedia di Shakespeare,
    Enrico VIII, che nel 1831 era stata rappresentata
    a Parigi e annunciata con la formula Tout est
    vrai
  • La prima edizione di PG portava questa formula
    in epigrafe
  • Shakespeare in generale è un modello importante
    per Balzac (cfr. soprattutto Re Lear)

74
All is true
  • Nota finale di Eugénie Grandet (1833) Questa
    vicenda è una traduzione imperfetta di alcune
    pagine dimenticate dai copisti nel libro mastro
    del mondo. Qui non vi è nulla di inventato.
    Lopera è una modesta miniatura che richiedeva
    più pazienza che arte.
  • Prefazione alla prima ed. di Illusioni perdute
    (1837) A molti lettori questo quadro potrà
    apparire esagerato ma, che si sappia, tutto è
    disperatamente vero.
  • Lettera 26 ott. 1834 a Mme Hanska
  • Non saranno fatti immaginari sarà quel che
    succede dappertutto.

75
All is true
Marcel Proust, Contre Sainte-Beuve Se, comè
stato più volte osservato, i personaggi dei suoi
romanzi erano per lui esseri reali, si può
ugualmente dire che la sua vita era un romanzo
chegli costruiva assolutamente nella stessa
guisa. Non cera in lui nessuna distinzione tra
la vita reale (quella che, a mio giudizio, non è
tale) e la vita dei suoi romanzi (la sola vera
per lo scrittore
76
All is true
  • In varie occasioni, Balzac dichiara di essere
  • Un segretario dei suoi contemporanei, che si
    limita a raccogliere, e a classificare i fatti
    reali che la storia gli presenta
  • Un pittore che si limita a copiare la natura, a
    ritrarre fedelmente quello che vede intorno a
    lui
  • Il più umile dei copisti, che non racconta
    grandi avvenimenti ma che si abbassa alle
    ristrette dimensioni della storia, la storia
    comune, offrendo la narrazione pura e semplice
    di ciò che ogni giorno si vede in provincia.

77
All is true
Prefazione a Le Cabinet des antiques (1839)
Questa deve essere la maniera di procedere dello
storico dei costumi il suo compito è quello di
amalgamare in un unico quadro i fatti analoghi.
Tenuto a rendere gli avvenimenti più nello
spirito che alla lettera, egli li sintetizza.
Spesso si rende necessario prendere parecchi
caratteri simili per arrivare a crearne uno solo,
così come esistono originali tanto ridicoli che,
sdoppiandoli, forniscono due personaggi. La
letteratura segue il procedimento impiegato dalla
pittura che, per realizzare una figura veramente
bella, prende le mani da un certo modello, il
piede da un altro, il petto da questo, le spalle
da quello. Compito del pittore è dare vita a
quelle membra scelte e rendere questa vita
probabile. Se vi copiasse una donna vera,
girereste la testa da unaltra parte.
78
All is true
Prefazione a Le Cabinet des antiques (1839)
Lautore ha detto già varie volte che spesso è
costretto ad attenuare la crudezza della natura.
Alcuni lettori hanno considerato Le Père Goriot
come una calunnia contro i figli, ma la vicenda
che è servita da modello presentava circostanze
terribili, come non se ne incontrano neanche tra
i cannibali il povero padre ha gridato per venti
ore di agonia per avere da bere senza che nessuno
andasse in suo aiuto e le sue due figlie erano
una al ballo, laltra a teatro, benché non
ignorassero la condizione del padre. Questo fatto
reale non sarebbe sembrato credibile.
79
All is true
Aristotele, Poetica Compito del poeta non è
dire ciò che è avvenuto ma ciò che potrebbe
avvenire, vale a dire ciò che è possibile ta
d??ata secondo verosimiglianza o necessità
?ata t? e????? ?? t? a??a??a???. Lo
storico e il poeta non differiscono tra loro per
il fatto di esprimersi in versi o in prosa ,
ma differiscono in quanto uno dice le cose
avvenute e laltro quelle che potrebbero
accadere. Per questo motivo la poesia è più
filosofica e più seria della storia, perché la
poesia si occupa piuttosto delluniversale,
mentre la storia racconta i particolari.
80
All is true
Prefazione a Le Cabinet des antiques (1839)
Molti a cui i meccanismi della vita, vista nel
suo insieme, sono familiari hanno asserito che le
cose non erano nella realtà come lautore le
presenta nelle sue finzioni, e lo accusano qui di
arricchire troppo lintreccio delle sue scene, là
di essere incompleto. Di certo la vita reale è
troppo drammatica o spesso non abbastanza
letteraria. Il vero spesso non sarebbe
verosimile, così come il vero letterario non può
essere il vero della natura. Coloro che si
permettono simili osservazioni, se fossero
coerenti, a teatro vorrebbero vedere gli attori
uccidersi davvero.
81
All is true
Prefazione a Le Cabinet des antiques (1839)
La maggior parte dei libri il cui soggetto è
totalmente fittizio, che non si collegano in
nessun modo alla realtà, sono nati morti. I libri
che si basano invece su fatti accaduti, estesi,
presi dalla vita reale, ottengono gli onori della
longevità. Invece di comporre una storia,
sarebbe sufficiente, stando a certi critici,
farsi stenografi di tutti i tribunali di Francia.
Avreste allora il vero totalmente puro, cioè una
storia orribile che abbandonereste prima di aver
concluso il primo volume. Potete leggerne ogni
giorno un frammento non ne sopportereste la
lettura continuata.
82
La descrizione della pensione Vauquer
Gérard Genette, Figure III (1972) Sappiamo
come il romanzo di Balzac abbia fissato un canone
descrittivo tipicamente extratemporale, in
cui il narratore, abbandonando il corso della
storia (oppure, come nel Père Goriot o nella
Recherche de labsolu, prima di entrarvi) si
incarica, in prima persona, ed esclusivamente per
informare il suo lettore, di descrivere uno
spettacolo che a rigor dei termini, a questo
punto della storia, nessuno guarda.
83
La descrizione della pensione Vauquer
Lubbock, Il mestiere della narrativa
(1921) Balzac non può pensare ai suoi
personaggi senza le case in cui abitano per
Balzac immaginare un essere umano è immaginare
una provincia, una città, un angolo della città,
un edificio alla svolta di una strada, certe
camere ammobiliate, e finalmente luomo o la
donna che ci vive. Le sue descrizioni sono
chiare e sistematiche vengono offerte come un
preliminare essenziale della storia, una faccenda
di cui bisogna ovviamente trattare una volta per
tutte, prima che la storia possa procedere.
Balzac è così sicuro che ogni dettaglio deve
essere conosciuto, perfine le suppellettili sulle
mensole e i piattini e i recipienti sulla
credenza, che il lettore non può nemmeno
cominciare a mettere ciò in discussione.
84
La descrizione della pensione Vauquer
Balzac, Traité de la vie élégante (1830)
Attraverso i nostri costumi noi imprimiamo il
nostro pensiero su tutto ciò che ci circonda e ci
appartiene. Il nostro atteggiamento, i nostri
modi, il nostro abbigliamento, i nostri
equipaggi, i nostri mobili, sono tutti delle
traduzioni materiali del pensiero.
85
La descrizione della pensione Vauquer
Auerbach, Mimesis Il realismo nella letteratura
occidentale (1946) In tutta la sua opera, e
così in questo testo, Balzac ha sentito i luoghi,
e in verità i più diversi, come ununità
organica, anzi demoniaca, e ha cercato di
trasmettere questa sensazione al lettore. Non
soltanto, come Stendhal, ha collocato gli uomini,
di cui con serietà narra la sorte, nella loro
cornice storica e sociale esattamente
circoscritta, ma ha inoltre inteso questo legame
come necessità ogni spazio si tramuta per lui in
unatmosfera morale e sensibile di cui simbevono
il paesaggio, la casa, i mobili, le
suppellettili, gli abiti, i corpi, il carattere,
il comportamento, il sentire, lagire e la sorte
degli uomini, e in cui p
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