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Manoscritti illuminati

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Title: Lezioni di CA per SGBC Author: Mimmone Created Date: 9/2/1999 4:34:18 PM Document presentation format: Presentazione su schermo Company: Universit del ... – PowerPoint PPT presentation

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Title: Manoscritti illuminati


1
Manoscritti illuminati
2
Una delle testimonianze artistiche più importanti
del Medioevo è la miniatura, ovvero una pittura
di piccole dimensioni eseguita su un supporto di
pergamena, di carta o d'avorio. L'etimologia
deriva da minium, termine che nelletà classica e
nei primi secoli del Medioevo indicava il
cinabro, pigmento di colore rosso usato già nella
pittura antica e adoperato anche per dipingere in
rosso iniziali, titoli e rubriche di testi
scritti. Quindi miniare o minio describere
significò originariamente scrivere con il rosso,
analogamente a rubricare
3
Più tardi la parola miniatura si estese a
indicare la decorazione e lillustrazione di un
testo scritto. Con questo tipo di pittura l'opera
era definita manoscritto illuminato
4
I manoscritti illuminati
I manoscritti illuminati sono documenti in cui il
testo è integrato dallaggiunta di decorazioni o
illustrazioni, come iniziali decorate, bordi o
miniature
Il termine illuminato deriverebbe dal latino
lumen o luce, in quanto la miniatura, luminosa
nelluso dei colori e della foglia d'oro o di
argento, dava preziosità e luce al testo
scritto Secondo un'altra interpretazione
probabilmente più credibile (F. Brunello - De
Arte Illuminandi) il termine illuminato discende
invece dall'uso di lacche alluminate, cioè con
allume come mordente, una pratica comune in
questo tipo di pittura Dante nel canto XI del
Purgatorio, quando incontra il miniatore Oderisi
da Gubbio, scrive "'Oh' dissio lui 'non se' tu
Oderisi/ Lonor dAgobbio e lonor di quellarte/
Challuminar chiamata è in Parisi?'"
5
In effetti nella miniatura, tecnica simile
all'acquerello, si impiegavano molti colori
ricavati da succhi vegetali, cioè da estratti
acquosi di piante come l'arzica, il tornasole, la
robbia, ecc. il colore di questi succhi poteva
essere regolato addizionando un mordente, quindi
trasformando il colorante in una lacca in cui lo
ione metallico è coordinato ai gruppi leganti del
colorante
Uno dei mordenti più comuni era proprio l'allume
o allume di rocca (sx), il solfato doppio di
alluminio e potassio avente formula
Al2(SO4)3K2SO424H2O. Questo composto,
importantissimo nell'industria tintoria sia come
mordente sia per la concia delle pelli, era
ricavato anticamente dal minerale allumite
6
(No Transcript)
7
Anche nelle civiltà greca e romana è probabile
che testi scientifici e letterari fossero
accompagnati da illustrazioni (es. sotto, rotolo
risalente al II secolo d.C.) È però solo
con laffermazione del codice che le
illustrazioni divengono maggiormente ricche ed
elaborate
8
Molti trattati medievali contengono al loro
interno sezioni dedicate alla miniatura, anche se
rari sono quelli dedicati esclusivamente a questo
tipo di tecnica pittorica. Il primo è
probabilmente il Manoscritto di Lucca o
Compositiones ad tingenda che contiene numerose
ricette per la preparazione e applicazione dei
colori, alcune derivanti dal Papiro X di Leida.
Importanti sono anche il De coloribus et artibus
Romanorum, il
Mappae Clavicula, il Libro dei Colori, secreti
del XV secolo o Manoscritto Bolognese e
naturalmente il più celebre testo di arte
medievale, il De diversis artibus dell'abate
tedesco Teofilo Infine, per quanto non
espressamente rivolto alla tecnica della
miniatura, è naturalmente di grande importanza
anche il Libro dell'arte di Cennino Cennini
9
Un'altra opera importantissima, che ha la
caratteristica unica di trattare esclusivamente
di miniatura, è il De Arte Illuminandi (XIV
secolo), manoscritto anonimo di area napoletana,
molto interessante soprattutto nella versione
commentata da F. Brunello
Si tratta dell'opera più completa sulla
descrizione dei metodi medievali necessari per la
realizzazione delle miniature su pergamena La
versione di F. Brunello, oltre al testo medievale
commentato, contiene un compendio sulla tecnica
della miniatura medievale e un dizionario dei
colori usati, risultando così opera estremamente
preziosa per chi si occupa di miniatura
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Moltissimi manoscritti sono di ispirazione
religiosa, fatto semplice da comprendere se si
pensa che nellalto Medioevo larte pittorica era
in pratica appannaggio dei soli gruppi
ecclesiastici
A partire dal XIII secolo, comunque, si registra
un numero crescente di testi secolari o laici, di
ispirazione profana. Oltre alle scuole claustrali
fioriscono le scuole di corte dove pittori laici
creano lussuosi codici per esaltare le virtù dei
loro signori
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Codici, rotoli e fogli singoli
Molti manoscritti erano creati come codici,
quindi sotto forma di libri. Esistono esempi di
testi in rotolo (es. l'Exultet della Biblioteca
Casanatense di Roma, XI secolo, dx)
o in fogli singoli (Mappamondo di Vercelli, XIII
secolo, sx)
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Testimonianze del Medioevo
I manoscritti illuminati sono il tipo più comune
di artefatto che ci è giunto dal Medioevo, nonchè
le migliori testimonianze della pittura
medievale. Relativamente a certe aree geografiche
e certi periodi si tratta dei soli esempi
sopravvissuti di pittura Si tratta quindi di
manufatti di grande valore storico, artistico e
religioso, testimonianza delle capacità
tecnico-artistiche degli antichi scribi. Le
illustrazioni dei manoscritti illuminati sono
ancora adesso in grado di rivaleggiare con i
manoscritti a stampa dal punto di vista della
precisione di tratto e della fantasia delle forme
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Scopo dei manoscritti
La tecnica di illuminazione era complessa e
spesso costosa, dovendo impiegare materiali
pregiati come oro, argento, cinabro o
lapislazzuli. Per questo motivo era di solito
riservata a libri speciali, per esempio bibbie da
altare. Le persone facoltose potevano
commissionare la decorazione dei testi chiamati
Libri delle ore, in cui erano definite le
preghiere più appropriate per i vari momenti
della giornata liturgica
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Scriptoria e centri darte
Il laboratorio artistico nel quale si producevano
i manoscritti illuminati e, più in generale, i
testi medievali, era chiamato scriptorium. Lo
scriptorium spesso aveva caratteristiche
peculiari e riconoscibili, nel senso che i suoi
artisti impiegavano le stesse tecniche e la
stessa tavolozza nellilluminazione dei
manoscritti
A livello geografico, i centri più importanti
nellilluminazione erano senzaltro la Francia,
con Parigi faro culturale e artistico, nel quale
si svilupparono stili vari tra cui il Gotico poi
le Isole Britanniche, le Fiandre e i paesi del
Vicino Oriente (Siria, Armenia) In Italia noti
scriptoria avevano sede presso le abbazie di
Bobbio (Piacenza), Nonantola (Modena) e
Montecassino (Frosinone)
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Lo scriptorium doveva assomigliare più ad un
laboratorio di alchimia che allo studio di un
pittore. A causa della limitatezza dei commerci e
di un certo isolamento cui si sottoponevano gli
artisti, tanto religiosi quanto laici, il
miniatore (o i suoi collaboratori) non si
limitava a realizzare l'opera artistica ma doveva
anche preparare tutto ciò che serviva per
l'esecuzione dai fogli del libro ai colori, alle
colle fino a penne e pennelli
16
(No Transcript)
17
Tecnica di composizione del manoscritto illuminato
  • Prima di descrivere i materiali pittorici
    impiegati nell'illuminazione, vediamo quali sono
    le diverse fasi attraverso le quali veniva creato
    il manoscritto illuminato. Nella composizione
    potevano intervenire altre persone oltre al
    miniaturista, quali il calligrafo e colui che
    preparava la pergamena

Si parte dal foglio di pergamena opportunamente
sagomato e trattato, ovvero lavorato con un
appretto a base inorganica per eliminare la
naturale untuosità della pelle animale
eventualmente la pergamena poteva essere tinta
con porpora o altri coloranti
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Sui fogli di pergamena così preparati comincia
l'opera dello scriptor o librarius, cioè del
calligrafo che redige il testo con inchiostri
neri e rossi (più raramente con altri colori). Lo
scriba pianificava lo schema generale dellopera
(es. collocazione delle iniziali, bordi, titoli,
ecc.) segnando le varie parti con una punta
metallica. Nella figura sono mostrati alcuni
attrezzi usati per segnare le linee guida per la
calligrafia
Quindi si accingeva allopera con calamaio e
penna. Egli eseguiva tutte le scritture
lasciando scoperti gli spazi per le iniziali più
grandi e decorate e per le figure da miniare.
Spesso il calligrafo poteva lasciare delle
indicazioni per il miniatore, segnando con tratto
leggero il contorno dell'iniziale da decorare o
lasciando delle note sul soggetto da dipingere.
Così talvolta si può leggere a margine frasi come
"Hic pingatur papa genuflexus" oppure "Hic
ponatur una mulier in habitu viduali"
19
La scrittura dipendeva dai costumi locali e dai
gusti. I robusti caratteri Romani tipici
dellAlto Medioevo, gradualmente furono
sostituiti dai caratteri in corsivo come
lonciale e il semionciale, specialmente nelle
Isole Britanniche dove si svilupparono stili
distintivi noti come insulari Attorno al XIII
secolo fu introdotto il carattere gotico o
blackletter, molto popolare nel tardo Medioevo
20
La miniatura risalente all'XI secolo raffigura un
monaco che scrive e un laico miniatore mentre
lavorano fianco a fianco nello scriptorium del
monastero di Echternach (Germania)
21
Terminato il lavoro del calligrafo, il miniatore
poteva cominciare a disegnare figure e ornamenti
con lo stil di piombo. Disegni anche molto
complessi erano pianificati in anticipo,
probabilmente su tavolette di cera, i bozzetti
dellepoca.
Il disegno era infine tracciato sulla pergamena.
I tratti erano ripassati con inchiostro nero a
base di metallo-gallato per avere linee
permanenti e resistenti all'acqua Si creava così
il campus da coprire poi con i colori
22
Quindi i colori erano stesi all'interno delle
sagome con pennelli più o meno fini i dettagli
più minuti erano probabilmente stesi con un solo
pelo
La sequenza di stesura degli strati era varia e
influenzava in certi casi l'aspetto finale della
parte colorata. Spesso sui disegni erano stesi
strati di coloranti per avere eleganti velature,
oppure strati protettivi
23
I colori erano generalmente tempere acquose,
miscelati con albume o rosso d'uovo, oppure gomma
arabica, una tecnica simile all'acquerello
24
(No Transcript)
25
Le iniziali
Il termine iniziale si riferisce ad ogni lettera
ingrandita all'inizio della sezione di un libro.
Nei manoscritti illuminati le iniziali erano
spesso decorate in maniera elaborata o almeno
rubricate, cioè colorate in rosso Mentre nei
primi secoli della miniatura liniziale era
evidenziata per motivi essenzialmente
pratici, in seguito si sviluppò l'uso di
abbellirla con elementi decorativi di vario tipo
  • a intreccio
  • vegetali
  • zoomorfi o antropomorfi (iniziale decorata)
  • contenenti figure (iniziale figurata) o vere e
    proprie storie (iniziale istoriata)

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sopra ritratto di Geoffrey Chaucer (Canterbury
tales)
27
I colori dei manoscritti
La varietà di colori a disposizione del
decoratore di manoscritti medievali era
sorprendentemente vasta la stesura su pergamena
e la tecnica a tempera non comportavano alcun
limite nella scelta dei composti da utilizzare,
cosa che non avviene, per esempio, nella tecnica
dell'affresco. Le uniche limitazioni si hanno nei
rari casi in cui due colori apposti in zone
limitrofe o affacciate potevano reagire
chimicamente e dare luogo a prodotti di
degradazione indesiderati, come nel caso di
pigmenti a base di piombo, es. bianco piombo,
2PbCO3Pb(OH)2 e a base di solfuro, es.
orpimento, As2S3, la cui interazione può generare
precipitati neri Inoltre, la produzione di colori
sintetici (quali il vermiglione al posto del
cinabro o i pigmenti blu a base di rame) e
limportazione di nuovi colori dai paesi
extraeuropei (zafferano, cocciniglia) ebbe un
significativo incremento proprio mentre l'arte
della miniatura si stava sviluppando
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Pigmenti e coloranti
I miniatori erano probabilmente consci del fatto
che i colori a base inorganica erano più stabili
nel tempo rispetto a quelli a base organica, che
sono facilmente soggetti a processi di
fotodegradazione d'altra parte va considerato
che l'esposizione dei colori alla luce era
ridotta per il fatto che i manoscritti erano
generalmente mantenuti chiusi. Da qui il largo
uso di coloranti di origine vegetale o animale,
conservati in pezzuole e poi addizionati di
mordente
Perciò nelle miniature è spesso ancora possibile,
per quanto in maniera non semplice, identificare
la presenza di alcuni coloranti, come lindaco,
la porpora di Tiro, la robbia e il kermes
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Succhi e pezzuole
Molto importanti per la tavolozza dei miniatori
erano i succhi vegetali (succus o jotta) con cui
si indicavano genericamente gli estratti vegetali
colorati, ricavati direttamente dalle piante
senza particolari trattamenti, es. per
spremitura. I succhi erano impiegati per
preparare le pezzuole per dipingere
all'acquarello veli di questi coloranti
rilasciati in soluzione acquosa erano usati per
migliorare altri colori, in quanto davano alle
miniature un aspetto di trasparenza
brillante Ricette per la preparazione di succhi e
pezzuole e per il corretto uso dei colori così
ottenuti sono presenti in molti trattati di arte
medievale il Cennini ne parla diffusamente sotto
il titolo "Dei colori che si adoperano in
lavorare su carta" (cap. CLXI) citando come
pezzuole non già i pezzetti di tessuto imbevuti,
bensì gli stessi colori. Lo stesso Teofilo
consigliava di ombreggiare le miniature dipinte
in verdigris con succhi vegetali verdi
30
Come dice il Cennini, con le pezzuole "si fa
d'ogni colore" ed effettivamente i succhi
sfruttati dai miniatori medievali erano
moltissimi
  • i gialli jotte luze, dalla Reseda luteola,
    ovvero l'arzica crocus dallo zafferano
  • i bruni jotte concina, estratto di galle di
    quercia, ricco di tannini
  • i verdi succus gladioli o viride de liliis
    azurinis dai fiori di ireos (Iris germanica e
    Iris fiorentina) succus caulae dal cavolo
    (Brassica oleracea) succus porri dal comune
    porro coltivato (Allium porrum) succo di
    prugnameroli dai frutti del Rhamnus catharticus,
    noti come grani d'Avignone succus rute o ruvite
    dalla Ruta graveolens, pianta tossica come la
    precedente gatetriu dal succo di caprifoglio
  • i rossi un succo rosso sangue estratto dal
    tronco dell'edera, non meglio identificato
  • i blu torna-ad-solem dalla Crozophora tinctoria
    a pH basico succus sambuci dai frutti di
    Sambucus nigra
  • i violetto-porpora folium sempre dalla
    Crozophora tinctoria a pH neutro bisetus,
    sottoprodotto del folium

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La tavolozza
In base alle indicazioni dei testi medievali
possiamo capire quali pigmenti e coloranti erano
impiegati nell'illuminazione. Secondo l'anonimo
autore del De Arte Illuminandi, i colori
necessari a miniare sono otto il nero, il
bianco, il rosso, il giallo, l'azzurrino, il
violaceo, il rosaceo e il verde Sempre in base
alle indicazioni dell'autore, sappiamo che si
usavano sostanze naturali e artificiali
  • naturali
  • azzurro d'oltremare (blu oltremare), azzurro
    d'Alemagna (azzurrite), azzurro d'argento (poco
    noto, si tratta di argento contenente impurezze
    di rame)
  • terra nera (grafite)
  • terra rossa (ocra rossa)
  • terra verde (argilla contenente silicato
    ferroso), verde azzurro o chrysocolla (termine
    genericamente riferito a pigmenti verdi
    contenenti rame, tra cui la malachite)
  • terra gialla (ocra gialla), orpimento, oro e
    zafferano

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  • artificiali
  • azzurro e violaceo dall'erba nota come tornasole
  • nero da legna bruciata, da nerofumo o dalla
    seppia
  • cinabro (in realtà vermiglione) e minio
  • verde dal rame, dai prugnameroli e dal succo
    dell'iris
  • bianco dalla cerussa o da ossa incenerite
  • giallo dalla radice di curcuma, dalla robbia o
    erba dei tintori, dalla porporina o oro musivo e
    dal giallollino o giallorino (nome che indica
    alcuni pigmenti a base di piombo)
  • rosaceo dal legno del brasile o verzino

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  • rosso cinabro o vermiglione per i dettagli più
    importanti, poi minio, ocra rossa, e lacche
    organiche (cocciniglia, verzino)
  • giallo ocra gialla, orpimento o lacche gialle
    vegetali (zafferano)
  • verde malachite e verdigris, terra verde
  • blu oltremare naturale, azzurrite, smaltino,
    indaco
  • porpora porpora di Tiro
  • bianco bianco piombo, gesso
  • nero a base di carbone (nero dossa, nerofumo),
    seppia, metallo-gallato
  • oro in foglia o polverizzato oro mosaico come
    surrogato
  • argento in foglia o polverizzato

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Significato dei pigmenti
Nei manoscritti medievali, come in altre
espressioni pittoriche, era prassi utilizzare i
pigmenti più pregiati per colorare i soggetti
più sacri, come le figure dei santi o le vesti
della Madonna o di cristo. La gerarchia dei
pigmenti blu, ad esempio, era in questo senso
lapislazzuli gt azzurrite gt indaco/guado In questa
scena, tratta dal Liber Evangeliorum (Archivio
Capitolare di Vercelli), laureola di Cristo è
dipinta in blu oltremare, pur svanito, mentre le
aureole dei Discepoli di Emmaus sono in guado
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La gerarchia dei rossi era cinabro gt minio gt
ocra. In questa Ultima cena, anchessa tratta dal
Liber Evangeliorum , le coppe rosse e le aureole
degli apostoli sono dipinte con il cinabro,
mentre le vesti (evidentemente meno importanti)
sono in minio
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Dettagli tecnici
Nella lettera O istoriata, tratta da un testo di
cori italiano del XIII secolo, è possibile vedere
un esempio della tecnica degli strati successivi
di pigmento o layering. Le zone blu sono
costituite da lapislazzuli su azzurrite ciò crea
un effetto cromatico interessante, dà maggiore
stabilità al colore in quanto la superficie
esposta è costituita dal pigmento più stabile, il
lapislazzuli, e infine ha il vantaggio economico
di minimizzare l'uso del minerale più pregiato
37
analisi XRF Cu ? azzurite, 2CuCO3Cu(OH)2
FORS e Raman blu oltremare!
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Doratura
Un aspetto tecnico molto importante nella
miniatura, forse più che in altre tecniche
pittoriche, era l'utilizzo di pigmenti a base di
metallo puro,
come oro, argento e leghe, oppure di succedanei
che ne imitassero l'aspetto nobile. L'oro, in
particolare, era utilizzato per la doratura Fin
dall'antichità l'arricchire con metalli preziosi
le pitture era tecnica conosciuta in tutto
l'Oriente, da cui poi l'uso passò in Egitto e nel
mondo greco-romano. In seguito, con la produzione
di libri miniati presso i Bizantini, gli
ornamenti in oro e argento diventarono pratica
comune, sia per decorare figure ed iniziali, sia
per eseguire scritture secondo le tecniche note
come crisografia e argirografia
39
Loro
Limpiego di oro per decorare un manoscritto
portava con sé tutto il potere, la ricchezza, lo
splendore associato a questo metallo nobile, da
sempre il più desiderato dalluomo. L'impiego di
oro nella decorazione dei manoscritti è una
caratteristica saliente dell'arte della miniatura
medievale, in particolare nel periodo 300-1600
d.C. e relativamente alle culture
giudaico-cristiane e islamiche. L'uso di oro
nellarte pittorica è
però antecedente di quasi 2000 anni. Le
testimonianze bibliografiche permettono di
stabilire che in Europa le tecniche di doratura
erano già in uso almeno dal V-VI secolo d.C. e
probabilmente da qualche secolo prima in Asia
Minore al III secolo a.C. risale una citazione
da un documento ebraico dove si dice che le Leggi
Ebraiche erano scritte su pelle con lettere in oro
40
Ma è nell'antico Egitto che dobbiamo trovare, se
non l'invenzione della doratura, almeno
l'evidenza delle prime applicazioni dell'oro in
campo pittorico. Il più antico
documento egizio su cui sia stata impiegata la
foglia d'oro è il Papiro di Neferronpet, un Libro
dei Morti databile al 1250 a.C., attualmente
conservato in frammenti presso alcuni musei tra
cui il British Museum. Neferronpet è descritto
come capo dei laminatori, e ciò rende conto della
sua opportunità di provvedere a questo documento
funerario così riccamente decorato. La lamina
d'oro su questo papiro ha uno spessore di 6 µm e
contiene un po di argento, come è lecito
aspettarsi essendo largento sempre associato
alloro in natura. Non è stato possibile capire
se lapplicazione fosse ottenuta tramite una
colla, ma va considerata lazione adesiva
naturale del papiro. Un altro papiro contenente
oro in foglia meglio conservato è il Papiro di
Anhai (dx), un Libro dei Morti proveniente da
Tebe e databile al 1050 a.C. (XXI Dinastia),
conservato presso il British Museum
41
Si può grossolanamente suddividere le tecniche di
doratura in tre gruppi
  • le tecniche rivolte alla decorazione di superfici
    che utilizzano una lamina sottilissima applicata
    al supporto, la cosiddetta foglia d'oro
  • le tecniche rivolte alla decorazione di superfici
    che utilizzano oro in polvere nella doratura a
    conchiglia o shell gold in inglese
  • le tecniche di crisografia che impiegano oro in
    polvere disperso in un mezzo legante e usato come
    inchiostro (di cui si parlerà più diffusamente
    nella lezione dedicata agli inchiostri)

42
La decorazione con lamine doro è sicuramente il
tratto più caratteristico nella miniatura e nella
pittura su tavola. Loro in lamina si ricavava
principalmente per martellamento la più sottile
lamina era chiamate, appunto, foglia doro. In
virtù della grande malleabilità del metallo, già
nellantico Egitto gli artigiani erano in grado
di ottenere foglie doro dello spessore di pochi
micron, più sottili della carta velina e
traslucidi
La fonte più comune e conveniente era costituita
dalle monete. Il Cennini dice che i più bravi
artigiani erano in grado di ricavare più di 100
lamine da un solo ducato, una moneta pesante
circa 3 grammi. Nel Manoscritto di Lucca, ricetta
64, è descritta la procedura per ricavare ben
1028 lamine da circa 30 grammi di oro Nel
bassorilievo in figura (I secolo d.C.) è mostrato
laurifex brattiarius, lartigiano addetto alla
battitura delloro per la riduzione in lamine
sottili
43
La purezza della foglia era molto variabile,
essendo variabile il contenuto delloro nelle
monete a seconda del periodo e dello Stato che le
emetteva. Generalmente sono presenti impurezze di
argento o rame, ma anche ferro e piombo. L'oro
utilizzato non era sempre puro (oro fino o oro di
Gubbio) ad esempio Cennini cita l'oro di metà o
mistà o mittà, costituito da un sottilissimo
strato d'oro sovrapposto ad una lamina di stagno
o d'argento
Nella figura è mostrata una xilografia di Jost
Amman (1568) intitolata Der Goltschlager, in cui
è rappresentato lartigiano che prepara la foglia
doro per martellamento Prima di citare le
tecniche e i materiali impiegati nella doratura,
è opportuno ricordare che in molti testi di
tecnica pittorica medievale, la definizione della
parola oro può indurre qualche incertezza a causa
dell'influenza su di essi del lessico
alchimistico greco, nel quale il termine chrysos
indicava sia l'oro vero e proprio, in frammenti,
lamine o polvere, sia alcune sostanze che
presentano un aspetto dorato, come la pirite,
alcune leghe metalliche o lo zafferano
44
Le tecniche di doratura erano numerosissime,
basti pensare che nel solo Manoscritto Bolognese
sono citate ben 37 ricette diverse per la
doratura e argentatura sia a foglia che a
conchiglia. In linea di massima lo schema
generale prevedeva la preparazione di un fondo
adesivo sul supporto, sul quale si applicava con
estrema delicatezza la foglia doro Teofilo nel
De diversis artibus avverte stai molto attento
ai colpi di vento e trattieni il respiro perché
se espiri rischi di perdere la foglia In
seguito, per aumentarne la lucentezza si poteva
usare il brunitoio, strumento costituito da una
ghiera metallica su cui erano inseriti denti di
vari animali, specialmente carnivori (cane, lupo,
leopardo, cinghiale) oppure pietre molto dure
come il diaspro rosso o l'agata. Il brunitoio
aveva il compito di eliminare le piccole asperità
eventualmente presenti sulla foglia, in modo da
massimizzare la componente di luce speculare a
scapito di quella diffusa
45
Per quanto riguarda ladesione della foglia al
supporto, le tecniche si differenziano in due
modi
  • in base allo spessore dello strato adesivo
  • uno strato sottile, costituito da una colla
    animale
  • uno strato spesso, costituito da una miscela a
    base di gesso
  • in base alla natura del solvente impiegato per
    ladesivo
  • a base acquosa (tecnica a guazzo), impiegato
    soprattutto nella miniatura e raramente su tavola
    o tela
  • a base oleo-resinosa (tecnica a missione),
    impiegato su tavola, tela e parete, raramente su
    miniatura

46
Nel periodo storico che va dal Tardo Antico al
Carolingio fino al Romanico, la tecnica
principale prevedeva che la superficie da
decorare fosse coperta con un adesivo di natura
organica, sul quale si applicava la sottile
lamina doro. Tra le varie sostanze usate allo
scopo, le più citate erano latte di fico, albume
chiarificato, succo daglio (sconsigliato su
pergamena perché igroscopico), gomma arabica e
gomma ammoniacale, eventualmente addizionate di
zucchero per aumentare la natura appiccicosa. Le
ricette medievali riportano che alcuni di questi
liquidi risultavano più adesivi se lasciati a
putrefare per giorni Altri adesivi erano le colle
animali, chiamate genericamente bitumina benchè
non a base di bitume, il prodotto solido naturale
derivato dal petrolio noto anche come
pix judaicum qui il termine va inteso nel senso
di sostanze appiccicanti. Sono materiali di
natura proteica, in prevalenza collagene la
colla cervona o di caravella, composta da ritagli
di pelle la colla cartarum o di cartapecora,
ricavata da frammenti di pergamena e quindi più
pura la colla piscium o ittiocolla, cioè la
comune colla di pesce. Tutte queste sostanze
producevano un fondo molto sottile e appiccicoso
la foglia doro ivi applicata mostrava la
conformazione della sottostante pergamena. Questa
tecnica è chiamata in inglese flat gilding. Con
questo tipo di adesione non era possibile
effettuare la brunitura perché il fondo non
risultava sufficientemente robusto, quindi la
foglia doro realizzata in questo modo presenta
sempre una bassa lucentezza
47
Probabilmente a partire dal XII secolo è
introdotta una variante nella preparazione del
fondo, che prevede un impasto di gesso amalgamato
con una colla, in modo da formare uno spesso
rialzo adesivo su cui era applicata la foglia
d'oro. Per questo in inglese la tecnica è
chiamata raised gilding in italiano il termine
corrispondente è doratura a guazzo o a mordente.
La tecnica è descritta già da Teofilo nel De
diversis artibus ma in relazione alla doratura su
tavole in legno, per la quale era già nota prima
del XII secolo diventa poi di uso comune anche
nella miniatura. La composizione del mordente,
chiamato nel Medioevo asiso o assiso, aveva molte
varianti. Gli ingredienti base erano lacqua, un
adesivo (colla animale, gomma o albume
chiarificato), un colorante (bolo, terra verde,
zafferano, ocre, cinabro o minio), un eccipiente
per dare volume e resistenza e un agente
igroscopico (miele o zucchero). Leccipiente più
usato, soprattutto in Italia, era il gesso
sottile, ovvero gesso lasciato a bagno per
diversi giorni nel Nordeuropa era invece comune
luso del calcare
48
Come colorante si impiegava molto spesso il bolo
armeno, già citato per licona bizantina si
tratta di unargilla molto grassa contenente
ossido di ferro, più ricca in alluminio rispetto
alle ocre e dal tipico sapore allappante.
Nonostante laggettivo armeno, questa argilla era
molto diffusa dappertutto. Lutilità di
aggiungere un pigmento al mordente era duplice
da un lato rendere visibile la stesura su cui
applicare la foglia, dallaltro arricchire
laspetto cromatico della foglia stessa (che è
parzialmente traslucida) rendendolo più caldo. Un
altro additivo, citato per esempio da Cennini,
poteva essere la biacca
49
Dopo aver applicato limpasto e averne atteso
lessiccamento, il miniatore doveva umidificare
leggermente la superficie con il suo alito oppure
con albume chiarificato per poi stendere la
foglia. Luso dellimpasto di gesso aveva il
grosso vantaggio di permettere una brunitura
marcata della foglia, che diventava così più
splendente perché più simile ad una superficie a
specchio inoltre era possibile decorare la
foglia per incisione Nella figura si nota la
differenza di brillantezza in dorature ad assiso
(sx) e a semplice colla (dx)
50
Dal XV secolo la doratura applicata su
manoscritti tende a sparire, sia per la
diffusione crescente dei libri a stampa, sia
perchè loro non si adattava bene ai dettami
artistici in voga nellepoca del
Rinascimento Nella miniatura a destra sono state
usate le tecniche di doratura a guazzo e a
semplice colla
51
Nelle tecniche pittoriche su legno e su parete,
ma non su pergamena, si usava molto spesso un
mordente a base oleosa, costituito da una vernice
a olio da applicare sul supporto per poi farvi
aderire la foglia doro la doratura a missione.
Esempi di questa tecnica si hanno nelle pitture
del XIV secolo toscano, in particolare con Duccio
da Buoninsegna, Simone Martini e Lorenzo
Monaco Nella figura è mostrata una
Incoronazione della Vergine di Lorenzo Monaco
(ca. 1407) conservata presso la National Gallery
di Londra
52
Siccome spesso allolio era addizionato ossido di
piombo per velocizzarne lindurimento, levidenza
di Pb al di sotto di una doratura costituisce
unindicazione delluso della tecnica a
missione In figura frammento
prelevato da una pittura su pietra (visto dal
basso), in cui è stata applicata una doratura a
missione su una precedente doratura a guazzo
53
Se per luso di oro in lamina sulle opere
pittoriche è possibile andare indietro fino al
1400 a.C., relativamente all'uso di oro in
polvere le testimonianze sono più incerte. Non ci
sono evidenze di questo tipo in papiri egiziani
un documento ebraico del III secolo a.C. che cita
le Leggi Ebraiche scritte su pelle con lettere in
oro è perciò da ritenere come uno dei più antichi
esempi dell'uso di oro in polvere, anche se come
inchiostro e non come pigmento. Loro in polvere
è difficile da ottenere per via dellincredibile
malleabilità del metallo, che si comporta come
cera quando è sottoposto a martellamento. Perciò
gli artigiani erano soliti macinare la fonte di
oro (es. una moneta) in presenza di additivi
quali miele, sale o sabbia che agivano a sfavore
della malleabilità, sia esercitando azione
abrasiva, sia intrappolando le particelle doro
formatesi. In alternativa si poteva addizionare
mercurio, metallo che ha notevole affinità per
loro e i metalli nobili in genere esso
forma una lega chiamata amalgama che risulta più
semplice da polverizzare La macinazione si
effettuava all'interno di una conchiglia, pratica
da cui deriva il nome di shell gold per il
pigmento così ottenuto. La polvere, da cui
ladditivo era allontanato per dilavamento o
mediante riscaldamento nel caso dellamalgama,
era poi mescolata con un mezzo legante e
applicata sulle superfici in maniera analoga ad
un qualsiasi pigmento
54
I leganti impiegati potevano essere quelli tipici
per la miniatura, cioè gomma arabica o albume
chiarificato. Dopo lapplicazione loro steso
come pigmento non era trattato con il brunitoio e
appariva quindi di un giallo brillante ma con una
lucentezza inferiore alla foglia in quanto cè
una maggior componente di luce diffusa rispetto
alla luce speculare. Un mirabile esempio di
impiego delloro a conchiglia come pigmento si ha
nella Nascita di Venere di Sandro Botticelli
(1486), in particolare nei capelli di Venere e
nelle foglie scure a destra, in cui loro è
miscelato con un pigmento verde Loro
in polvere è più semplice da usare rispetto alla
foglia ma risulta più costoso il consumo di oro
per decorare una superficie è molto maggiore nel
caso della polvere
55
Largento
Secondo per nobiltà solo alloro, ma più
difficile da ottenere puro, è largento che in
natura si trova allo stato nativo associato
alloro oppure al piombo ma raramente da solo ed
è quindi sempre da raffinare. Largento si usava
in particolare per decorare le armi in scene di
battaglia o parate in certi casi era
usato per simulare loro nella cosiddetta
doratura a mecca in cui la lamina metallica (non
d'oro) veniva ricoperta con una vernice
oleoresinosa giallo-dorata, la mecca appunto, per
simulare il metallo prezioso. In altri casi la
lamina dargento era posta sotto una lamina
doro. Le tecniche di applicazione in foglia sono
analoghe a quelle citate per loro
56
Dal punto di vista conservativo, tuttavia, cè
una grossa differenza laspetto della foglia
peggiora nel tempo in quanto largento tende ad
imbrunirsi per la formazione di solfuro e spesso
risulta irriconoscibile se non attraverso
lanalisi chimica. Cennino Cennini nel libro XCV
de Il libro dellarte avverte E nnota, che
soprattutto fa' con meno ariento che puoi, perché
non
dura, e viene negro in muro e in legno. Stesso
problema ha loro in lega con largento Anchora
ti ghuarda da oro di metà, ché di subito vien
negro. Lapplicazione della mecca oleoresinosa
aveva anche lo scopo di proteggere largento
dallalterazione
57
Il rame
Per quanto scarsamente citato nei trattati
medievali sulla pittura, il rame era impiegato
come succedaneo delloro, soprattutto in lega con
lo zinco a formare lottone. In percentuali
opportune, una lega rame/zinco assume un colore
dorato e costituisce quindi unalternativa
abbastanza verosimile ma più economica alla
foglia doro
Sfortunatamente il rame non ha la stessa
resistenza chimica delloro e in molti casi si
verifica il viraggio al verde-blu per la
formazione di composti di varia natura, tra cui
cloruri, solfati e acetati, in presenza di agenti
inquinanti in fase gassosa
58
Altri metalli
Metallo bianco piuttosto semplice da lavorare, lo
stagno era impiegato in pittura per produrre
lamine sottilissime, dette stagnole, ad
imitazione dellargento, ma anche delloro,
oppure come sottofondo per lamine più preziose.
Nei testi medievali è più volte descritta la
preparazione della foglia di stagno su cui era
applicata una miscela oleoresinosa a base di
orpimento, zafferano e celidonia, unerba perenne
delle

papaveracee, per ottenere una lamina dorata (la
già citata doratura a mecca). Lo stagno si usava
anche sotto velature verdi o rosse per ottenere
effetti particolari e nella preparazione di
inchiostri. Rispetto allargento è meno soggetto
a degradazione
59
Saltuariamente è stato evidenziato limpiego di
altri metalli nella decorazione, tra cui
alluminio, antimonio, bismuto, nickel o leghe Tra
questi è da citare il bismuto, elemento metallico
dallaspetto simile allargento. Il suo uso è
citato almeno dal XIV secolo e ci sono evidenze
su opere pittoriche del XV secolo (es. in
Raffaello, Correggio e Fra Bartolomeo). Nella
miniatura è stato individuato in codici di area
francese del XV-XVI secolo, di cui la figura a sx
è un esempio il bismuto è impiegato sia per le
aree grigie, sia per il disegno preparatorio
Jean Bourdichon, "Fuga in Egitto" citato in L.
Burgio et al., "Spectroscopic Investigations of
Bourdichon Miniatures Masterpieces of Light and
Color", Applied Spectroscopy, 2009, vol. 63(6),
pagg. 611-620
60
I supporti
Per quanto riguarda i supporti, l'immagine
classica del manoscritto medievale, illuminato o
no, è legata alla pergamena esistono pochi resti
di manoscritto su papiro (se vogliamo, anche i
papiri egizi possono essere considerati
illuminati nel senso artistico dell'aggettivo)
mentre a partire dal tardo Medioevo si consolida
l'uso della carta
61
La pergamena
La pergamena si ricavava da pelli animali
opportunamente trattate. La stesura delle pelli
non era opera banale, considerando la naturale
asimmetria dei corpi animali, e quindi tutte le
operazioni di depilazione, essiccamento e
tensionatura su telaio e levigazione richiedevano
un'elevata specializzazione. Esse erano eseguite
dal pergamenarius
62
Siccome nel Medioevo la pergamena comune era
ricavate dalle pelli ovine, essa aveva il nome di
cartapecora o semplicemente carta, da non
confondere con la comune carta di cellulosa che
era invece nota come pergamena graeca o carta
bambagina. Per i grandi libri liturgici si usava
spesso la pelle suina, mentre impiegando pelle di
ovini o bovini giovani o nati morti si ricavava
una pergamena più pregiata chiamata vellum o
pergamenum vituli (velin in francese, da cui
l'italiano velina), composta da fogli molto fini
e delicati Il trattamento della pelle prevedeva
l'impiego di acqua di calce per eliminare i peli
e per prevenire l'azione di organismi
potenzialmente corrosivi, e di gesso per riempire
i pori e le irregolarità della superficie
63
La pergamena, dopo essere stata depilata e
tensionata, subiva alcuni trattamenti prima
dell'uso, per migliorare l'applicazione degli
inchiostri e dei colori Innanzitutto, per
eliminare la naturale untuosità del supporto si
spargeva una specie di appretto fatto con creta o
altra polvere bianca (Cennini consigliava polvere
di ossa di gallina calcinate e macinate)
mescolata con un collante, come gomma arabica o
colla di pesce In secondo luogo si usava
talvolta, specialmente nell'alto Medioevo,
tingere la pergamena con colori vari. Questo
procedimento, in uso almeno dal III secolo d.C.,
aveva probabilmente lo scopo di impreziosire il
documento ed esaltare cromaticamente il testo e
le miniature. La tintura più comune nei primi
secoli era senza dubbio quella di color porpora,
ottenuta mediante la preziosissima porpora di
Tiro a comporre i cosiddetti Codici purpurei,
documenti di valore simbolico elevatissimo
64
  • Tra i Codici purpurei più noti vi sono
  • il Codex Argenteus del IV secolo, conservato
    presso la biblioteca universitaria di Uppsala, in
    Svezia. Esso contiene la traduzione gotica della
    Bibbia
  • il già citato Codex Purpureus di Rossano Calabro
    (provincia di Cosenza), conservato presso il
    locale Museo Diocesano e risalente al VI secolo

65
In seguito, a causa del costo troppo elevato
della porpora di Tiro, altre sostanze vennero
impiegate nella tintura delle pergamene, tra
cui I coloranti citati hanno scarsa
stabilità alla luce e quindi la tintura delle
pergamene con essi era più scadente rispetto a
quella con porpora di Tiro d'altra parte
l'esposizione dei fogli alla luce era limitata,
essendo i volumi per lo più mantenuti chiusi
  • il folium, estratto violaceo dalla Crozophora
    tinctoria
  • l'oricello, colorante rosso ricavato dal lichene
    Roccella tinctoria
  • lo zafferano, colorante giallo dal Crocus sativus
  • altri coloranti noti da tempo come il kermes e la
    robbia per tingere in rosso, l'arzica per tingere
    in giallo

66
La carta
Altro supporto usato, anche se meno della
pergamena, fu la carta, nota come pergamena
graeca o carta bambagina. Il suo utilizzo come
supporto per manoscritti illuminati è tardo,
essendo la carta stata introdotta in Europa non
prima del XII secolo d.C. intorno al 1400
divenne un mezzo comune per piccoli volumi di
sermoni, libri di testo economici, opuscoli
popolari e così via, fino a sostituire la
pergamena in tutti gli usi (a parte le produzioni
più lussuose) dopo l'introduzione della stampa
nel XV secolo La carta medievale era fatta da
cenci di lino e aveva notevole resistenza e
durabilità, anche se minore rispetto alla
pergamena per questo i manoscritti più belli,
elaborati o destinati ad una lunga vita, erano
prodotti con la pergamena. La carta era però più
leggera ed economica e inoltre aveva il vantaggio
di venire fornita già nellesatto formato
necessario
67
Il papiro
Molto usato in antichità, il papiro ebbe ancora
un certo utilizzo nel Medioevo fino al VII-VIII
secolo per documenti miniati. Esso era impiegato
prevalentemente per la produzione di documenti in
forma di rotoli non in forma di libri in quanto,
per la sua natura fragile, le pagine in papiro
tenderebbero a deteriorarsi se ripetutamente
girate e piegate. I rotoli in papiro potevano
raggiungere lunghezze notevoli
La produzione di papiro era naturalmente
monopolio egiziano anche nel Medioevo continuò
ad esservi prodotto fino al X secolo, oltre che
in Sicilia dove le piantagioni di papiro
sopravvissero sino al XIII secolo
68
Accessori
Talvolta il valore artistico o spirituale del
manoscritto era talmente elevato da giustificare
la sua conservazione all'interno di una preziosa
legatura in legno o metallo, che aveva funzione
protettiva e insieme decorativa. Una delle
copertine della legatura, o, a volte, entrambe,
potevano
essere in metallo nobile (oro, argento, rame)
impreziosito con pietre preziose e semipreziose,
paste vitree e smalti Due esempi sono mostrati in
queste
figure la legatura del Codex Aureus di St.
Emmeram, conservata presso la Bayerische
Staatsbibliothek di Monaco (IX secolo, sx), e la
legatura del Liber Evangeliorum o Codice C,
conservata presso il Museo del Tesoro del Duomo
di Vercelli (XI secolo, dx)
69
Gli additivi
  • Il manoscritto noto come Vergilius Vaticanus
    contiene frammenti dallEneide e le Georgiche di

essere 440 fogli e 280 illustrazioni. Il testo
appare scritto
70
Gli strumenti
Gli strumenti più importanti per il miniatore
erano le penne (calamus) e i pennelli (pinzellum
o pincellum), questi ultimi di varia forma,
grandezza e qualità Il pennello migliore era
quello fatto con peli di scoiattolo innestati in
un cannello di penna d'avvoltoio, oca o altri
volatili tale pennello, dice il Cennini, "vuole
essere piccinin piccinin, per certi lavorii e
figurette ben piccole". Con esso era possibile
disegnare particolari estremamente piccoli Per
scrivere o per disegnare contorni si utilizzava
la classica penna d'oca, con la punta ben
temperata (dx)
71
L'abbozzo del disegno si faceva invece con lo
stil di piombo o piombino, formato da
un'asticciola di legno con una punta metallica
in lega di piombo e stagno
Altri strumenti meno nobili erano coltelli, lame
e raschietti, impiegati per vari scopi tra cui il
cancellare scritture e segni errati sulla
pergamena inoltre squadra, riga, compasso e i
calamai per contenere gli inchiostri
72
  • Per la preparazione dei colori il miniatore
    doveva disporre di vari strumenti. Molto
    importanti erano mortai e pestelli per macinare i
    pigmenti di natura minerale o per comporre
    miscele particolari. Questi potevano essere di
    marmo o di serpentino per i materiali più
    morbidi di porfido per le sostanze più dure di
    bronzo per i pigmenti durissimi come
    lapislazzuli, diaspro o giallolino e infine d'oro
    (mortariolus aureus) per i metalli preziosi

Contenitori vari avevano lo scopo di conservare i
colori si usavano corni di bue, gusci di
conchiglia o di tartaruga, sacchetti di cuoio e
vasi o ampolle di vetro,
terracotta o altri materiali. Alla stregua di
contenitori possono essere considerate le
pezzuole o cimature usate per preparare i colori
ad acquerello Altre suppellettili potevano essere
i filtri di tessuto impiegati per chiarificare
liquidi o per separare i colori da soluzioni
depuranti Infine sono da citare i brunitoi (sx),
strumenti impiegati per lucidare le dorature e
per lisciare i fogli di pergamena. Essi erano
costituiti da ghiere metalliche su cui erano
inseriti denti di vari animali, specialmente
carnivori (cane, lupo, leopardo, cinghiale)
oppure pietre molto dure come il diaspro rosso o
l'agata
73
Un po' di storia
  • Come si è detto in precedenza, l'arte
    dell'illuminazione fiorì nei primi secoli
    dell'Era Cristiana in concomitanza del passaggio
    dal rotolo al codice, per poi diventare una delle
    tecniche pittoriche più importanti. Durante il
    Medioevo e successivamente nel Rinascimento si
    distinsero numerose scuole di miniatura su
    codice, tra le quali le più importanti sono le
    seguenti
  • Scuola insulare (VII-VIII secolo) l'area
    cristiana delle

Isole Britanniche è uno dei fondamenti della
miniatura nell'Europa Occidentale (es. dx).
Nell'Irlanda del VII secolo si
sviluppò la tecnica di ingrandire l'iniziale di
un testo fino ad un'intera pagina, decorata con
motivi astratti. Questa tradizione fiorì poi nei
periodi Ottoniano e Romanico Scuola bizantina
(VI-XV secolo) un'altra scuola di grande
tradizione fu quello dell'Impero Bizantino (es.
sx). La caratteristica principale della miniatura
bizantina è l'uso abbondante di metalli preziosi
nell'illuminazione, anche come sfondi per
riempire spazi vuoti. I colori sono spesso
vivaci. I soggetti principali delle miniature
sono storie bibliche
74
Scuola carolingia (VIII-IX secolo, es. dx) sotto
la spinta dell'Imperatore Carlo Magno, gli
artisti emulavano il naturalismo degli antichi
Greci e Romani
Scuola ottoniana (X-XI secolo, es. sx) i re
tedeschi Ottone I, II e III commissionarono agli
artisti numerosi manoscritti che rappresentavano,
come per i Carolingi, una manifestazione di
potere imperiale. I motivi artistici sono
ispirati all'arte bizantina
  • Scuola romanica (XI-XII secolo, es. dx da
    Winchester Bible) l'arte romanica fu
    d'ispirazione internazionale, attingendo sia da
    quella insulare sia da quella bizantina

75
Scuola gotica (XIII-XV secolo, es. dx) alla fine
del XII secolo gli artisti Parigini avevano
sviluppato un nuovo stile di illuminazione
caratterizzato da figure sinuose, vivida
narrativa e uso smodato di foglia d'oro. Lo stile
gotico si diffuse poi in Inghilterra e Germania.
Gli illuminatori Francesi si ispirarono ad altre
forme artistiche, come la decorazione delle
vetrate
Scuola in stile internazionale (XV secolo, es.
sx) raggiunse il suo apice nelle corti ducali
dell'Europa all'inizio del '400. Famoso è il
manoscritto Très Riches Heures commissionato da
Jean, duca di Berry, ai fratelli Limbourg. Lo
stile è caratterizzato da colori vivaci e
contorni delicati Scuola rinascimentale (XV-XVI
secolo, es. dx) l'ultima grande era del libro
miniato a mano in Europa prima dell'avvento della
stampa. Si
producono testi di tutti i tipi, anche secolari
76
  • Dopo l'introduzione della stampa da parte di
    Gutenberg nel 1452, l'arte della miniatura su
    libro continuò ancora per qualche decennio, in
    cui i miniatori operavano sui testi stampati. Nei
    cento anni successivi l'uso di engravings
    metallici o di legno per riprodurre le
    decorazioni condusse al declino della miniatura e
    al suo abbandono. Attualmente l'arte della
    miniatura rivive presso circoli di entusiasti
    (es. SCA) che riprongono ricette e metodi antichi

77
Il Vergilius Vaticanus
  • Il manoscritto noto come Vergilius Vaticanus
    contiene frammenti dallEneide e le Georgiche di
    Virgilio è stato composto a Roma attorno al 400
    d.C. e si tratta quindi del più antico e meglio
    conservato manoscritto illuminato esistente della
    letteratura classica, oltre ad essere una delle
    fonti più antichi del testo dellEneide. Si trova
    attualmente nella Biblioteca Apostolica del
    Vaticano
  • Il manoscritto è composto da 76 fogli con 50
    illustrazioni , ma in origine dovevano

essere 440 fogli e 280 illustrazioni. Il testo
appare scritto da un singolo scriba in carattere
capitales rusticae. Come era pratica comune
allepoca, non cè separazione tra le parole.
Negli spazi lasciati dallo scriba, tre diversi
illuminatori hanno decorato il codice. Lo stile
delle miniature ricorda molto quello degli
affreschi di Pompei Il committente del
manoscritto era probabilmente un nobile
pagano Nella figura è mostrata la fuga di Enea da
Troia
78
Il Codice di Torino
  • Il manoscritto noto come Le ore di Torino-Milano
    è conservato presso il Museo Civico di Arte
    Antica di Torino (Palazzo Madama) ed è
    considerato un monumento della storia dellarte
    europea. In questo lavoro sono rappresentati
    elementi di due dei più avanzati movimenti
    artistici del periodo, quello francese e quello
    fiammingo. Alcune delle miniature sono tra le più
    belle dello stile gotico. La bellezza di questo
    codice sta nella modernità delle scene miniate

Lautore è il noto pittore fiammingo Jan van
Eyck, inventore (o comunque divulgatore) insieme
al fratello Hubert della tecnica pittorica ad
olio Il manoscritto ha una storia affascinante
che si sviluppa lungo un periodo di 70 anni,
iniziata intorno al 1380 per volere di Jean de
France, Duca di Berry, uno dei più celebri
committenti e collezionisti del tardo medioevo.
Il manoscritto originariamente era di notevoli
dimensioni, 400 fogli in pergamena e allincirca
280 miniature, ed era organizzato in tre parti
il libro delle ore, con le preghiere della
Vergine, dello Spirito Santo, della Passione più
lOfficio dei Morti, una raccolta di preghiere e
un messale
79
Ad un certo punto il Duca decise dinterrompere
lesecuzione del codice e il manoscritto fu
ripartito in due parti la prima, quasi del tutto
completa, rimase in Francia e dopo una serie di
vicende travagliate giunse nel 1956 alla
Bibliothèque National di Parigi. La seconda
parte, invece, fu portata nei Paesi Bassi dove
venne completata nel corso della prima metà del
XV secolo, probabilmente per opera di
  • Jan Van Eyck e la sua scuola peraltro il pittore
    fiammingo non riuscì a completarlo personalmente
    prima della sua morte nel 1441. Misteriosamente
    parte di questa seconda sezione del codice, dopo
    secoli di silenzio in cui non se ne aveva più
    traccia, comparve nel 700 tra i beni della
    biblioteca di Vittorio Amedeo II di Savoia.
    Questo frammento fu chiamato nel 1884 Heures de
    Turin. Nel 1904 le Heures de Turin andarono
    distrutte nellincendio della Biblioteca
    Nazionale
  • Un noto ricercatore, Georges Hulin de Loo, negli
    stessi anni dellincendio della Biblioteca
    Nazionale, scoprì nella Biblioteca dei Principi
    Trivulzio di Milano un secondo frammento, ora
    noto come Heures de Turin-Milan, che fu ceduto al
    Museo Civico di Torino nel 1935

80
Analisi dei manoscritti
L'analisi dei manoscritti, dato l'enorme valore
delle opere, va ovviamente effettuata con
tecniche non distruttive e che possibilmente non
prevedano il prelievo di un campione. In passato
una tecnica che dava buoni risultati era la
microscopia in luce polarizzata (PLM), che
permette di riconoscere le fasi minerali in base
alla forma, dimensione e tessitura delle
particelle che compongono i pigmenti. Questa
tecnica non richiede campionamento e si può
effettuare in maniera semplice direttamente sul
manoscritto non permette però di riconoscere
tutti i pigmenti
Con lo sviluppo degli strumenti portatili sono
diventate disponibili tecniche molto più
efficienti nell'identificazione di pigmenti e
coloranti. In particolare la spettrometria Raman
e la spettrometria XRF sono state applicate
all'analisi dei manoscritti. I primi studi
analitici sui pigmenti mediante Raman risalgono
alla metà degli anni '80 da parte di Bernard
Guineau, ricercatore francese
81
(No Transcript)
82
In seguito numerosi studi sono stati pubblicati
sull'analisi di manoscritti, in cui si
impiegavano tecniche molecolari come Raman e IR o
tecniche atomiche come XRF e PIXE, impiegate in
situ o in ogni caso senza prelievo In
alternativa l'analisi è eseguita su frammenti di
pigmento staccatisi naturalmente dai fogli e
intrappolati nella cavità tra due pagine
83
Mentre in Italia il campionamento di pigmenti dai
manoscritti è fuori discussione per questioni
antropologiche, allestero è pratica accettata da
alcuni enti museali, tra cui il Louvre, una
tecnica di campionamento nota come Q-tip essa
consiste nell'impiego di un tampone, il Q-tip
appunto (sx), la cui punta è in grado di
asportare per sfregamento quantità irrisorie
(meno di 100 ng) di pigmento dal manoscritto, a
cui il campionamento non comporta alcun danno
visibile
Dopo il campionamento, il Q-tip è stoccato in un
contenitore di plastica e portato allanalisi con
tecniche microscopiche quali Raman o microXRF
84
A Bible laid open
Uno dei primi studi di caratterizzazione di
manoscritti illuminati è stato pubblicato da R.
Clark (University College London) nel 1993 sulla
rivista Chemistry in Britain, con il titolo "A
Bible laid open". In questo lavoro è stata
definita la tavolozza utilizzata per illustrare
la cosiddetta Paris Bible o Lucka Bible, una
Bibbia risalente al 1270 creata a Parigi, poi
passata nelle mani di una Santa Maria Vergine
presso l'abbazia di Lucka in Znojmo, attuale
Repubblica Ceca, il cui nome è leggibile in luce
ultravioletta. Il testo del manoscritto è in
latino, i caratteri sono in stile gotico
85
Utilizzando la spettroscopia Raman direttamente
sul manoscritto, quindi con uno strumento
portatile, Clark ha identificato i pigmenti
impiegati nella decorazione dell'opera Nella
figura a sinistra è mostrata la lettera I
iniziale del Libro della Genesi (In
principio...). La lettera è alta 83 mm e mostra
ben sette scene rappresentanti i sette giorni
della creazione
86
In questa lettera i pigmenti identificati sono
otto azzurrite, lapislazzuli (per gli sfondi di
quattro scene), bianco piombo, cinabro, orpimento
e rosso piombo (per le cornici gialle e arancioni
e per la tunica di Dio nella quarta e settima
scena), realgar, malachite, questi ultimi due
probabilmente presenti come impurezze o prodotti
di degradazione di orpimento e azzurrite Gli
spettri Raman sono mostrati nella figura a destra
87
Book of Kells
Il più famoso tra i manoscritti illuminati è
senza dubbio il Book of Kells. Si tratta di
un'edizione del testo latino dei quattro Vangeli,
attualmente in possesso del Trinity College di
Dublino. Le sue origini si perdono tra il VI e
l'VIII secolo d.C.,
mentre il luogo in cui è stato creato è dibattuto
tra l'isola di Iona (al largo dell'isola di Mull,
Scozia Occidentale) e Kells, nella contea di
Meath (Irlanda) Le decorazioni del Book of Kells
sono incredibilmente ricche e fantasiose Umberto
Eco ha definito l'opera "il prodotto di
un'allucinazione a sangue freddo
88
La tavolozza del Book of Kells fu caratterizzata
con tecniche tradizionali (PLM, analisi visuale)
negli anni '60-'70 secondo questi studi, essa
comprenderebbe numerosi pigmenti (orpimento,
minio, verdigris, indaco, blu oltremare) e
coloranti (kermes), oltre che oro e argento. In
particolare sarebbe sorprendente l'uso del blu
oltremare, a quei tempi accessibile solo a caro
prezzo importandolo da Oriente Il legante
utilizzato sarebbe bianco d'uovo
89
Nel 2005 i conservatori della biblioteca del
Trinity College, Susan Bioletti e Bernard Meehan,
in collaborazione con il Dipartimento di Fisica
dellUniversità di Dublino, hanno intrapreso un
progetto di caratterizzazione sul Book of Kells
che prevede l'impiego di tecniche in situ
90
I risultati delle analisi strumentali smentiscono
in parte gli studi precedenti, in particolare
nellidentificazione del blu oltremare che
risulta sistematicamente assente, cosa peraltro
in accordo con gli studi che collocano al IX
secolo lintroduzione del prezioso pigmento nelle
tavolozze dei miniatori europei. La
tavolozza, tipica dell'Alto Medioevo, mostra
luso estensivo di cinque pigmenti minio,
orpimento, indaco, gesso e nero di carbone, più
diverse miscele (vergaut, gesso/indaco, gesso
/lacca porpora). Si tratta quindi di una
tavolozza creata con materiali facilmente
reperibili a livello locale Particolare è
limpiego dellorceina (dx spettro Raman),
colorante estratto dalla Roccella tinctoria, come
velatura sopra strati blu e verdi Sono previste
in seguito analisi FT-IR e XRF
91
Lindisfarne Gospels
Un altro importantissimo manoscritto di area
britannica è il Lindisfarne Gospels, attribuito
alla fine del VIII secolo d.C. e al monastero di
Lindisfarne, nell'Inghilterra del Nord
attualmente appartiene alla British Library di
Londra
Una caratteristica tecnica rilevante di questo
manoscritto è il fatto che il testo è
estremamente scuro e consistente l'inchiostro
impiegato dallo scriba, probabilmente del tipo
metallo-gallato, doveva essere stato prodotto con
una ricetta eccezionalmente stabile e in quantità
copiose
92
Spettri Raman dai Lindisfarne Gospels
L'analisi Raman, effettuata su questo manoscritto
dal Prof. R. Clark, ha evidenziato l'utilizzo di
indaco come unico prodotto blu questo colorante
era disponibile nell'Inghilterra dell'VIII secolo
in quanto estratto dalla pianta Isatis tinctoria
o guado Nonostante l'evidente valore simbolico
del manoscritto, che fa pensare alla necessità di
utilizzare pigmenti nobili, non si rileva la
presenza di blu oltremare, il cui impiego è
effettivamente noto in Inghilterra a partire dal
X secolo
93
Liber Evangeliorum
In questo esempio è mostrato lo studio di
caratterizzazione effettuato dall'Università del
Piemonte Orientale sul manoscritto noto come
Liber
Evangeliorum o Codice C, conservato a Vercelli
presso l'Archivio Capitolare Questo documento,
databile fra il 1190 e il 1200, è una raccolta di
letture evangeliche per le feste solenni
dell'anno liturgico. Si tratta di un manoscritto
pergamenaceo composto da circa 50 fogli,
contenente non meno di quindici tavole miniate a
tutta pagina lussuosamente decorate con materiali
nobili quali oro e argento Dato l'enorme valore
artistico e simbolico dell'opera, è interessante
verificare quali materiali siano stati usati e in
che modo
94
L'identificazione dei pigmenti è stata effettuata
mediante l'impiego combinato della spettrometria
Raman (sx) e della spettrometria XRF (dx) I fogli
che compongono il Codice C sono separati e ciò
rende agevole lanalisi inoltre, la superficie
piana della pergamena permette di sfruttare al
massimo le potenzialità del microscopio Raman e
impiegare gli
obiettivi più magnificanti (80x, 100x) per
studiare a fondo le caratteristiche cromatiche
delle miniature
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