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Nello studio della storia del teatro greco interagiscono tra loro quattro generi di fonti:

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Nello studio della storia del teatro greco interagiscono tra loro quattro generi di fonti: Fonti archeologiche Nell arco di tempo compreso fra il V e il I secolo a ... – PowerPoint PPT presentation

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Title: Nello studio della storia del teatro greco interagiscono tra loro quattro generi di fonti:


1
Nello studio della storia del teatro greco
interagiscono tra loro quattro generi di fonti
  • Fonti archeologiche
  • Nellarco di tempo compreso fra il V e il I
    secolo a.C. i Greci costruirono moltissimi teatri
    sia nelle città della Grecia Continentale, sia
    nelle numerose colonie greche sparse sulle coste
    dellEgeo e del Mediterraneo, dalla Turchia alla
    Sicilia. Molti di essi sono sopravvissuti, in
    stato di conservazione più o meno buono, fino a
    noi, e costituiscono un immenso patrimonio
    archeologico dal quale possiamo ricavare
    informazioni importanti sulla vita teatrale degli
    antichi. Tuttavia, cone tutti gli edifici del
    mondo antico, i teatri nel corso di una vita
    plurisecolare andarono incontro a modificazioni e
    ristrutturazioni, che sono di rado ci consentono
    di ricostruirne laspetto originario,
    contemporaneo cioè alle opere dei drammaturghi
    dei quali possiamo leggere le opere. Inoltre, per
    quanto riguarda specificamente il teatro greco,
    tutta la produzione tragica e comica che
    conosciamo fu messa in scena nel teatro di Atene
    fra il V e il IV secolo a. C., ed è dunque su
    questo monumento che dobbiamo concentrare
    soprattutto gli sforzi di ricostruzione delle
    messe in scena originali.
  • Il caso di Roma è ancor più singolare, perché
    tutta la grande produzione drammaturgica romana
    (tra cui le commedie di Plauto e Terenzio) fu
    portata in scena in unepoca in cui esistevano
    solo teatri provvisori di legno dei quali non ci
    è rimasto nulla. I teatri in pietra costruiti dai
    Romani a partire dal I secolo a. C. in Italia e
    nei territori dellImpero furono spesso destinati
    non specificamente al solo teatro, ma anche ad
    altri generi di spettacolo (mimo, pantomima, gare
    atletiche, giochi di gladiatori ecc.). Anche i
    Romani per altro furono grandi costruttori e
    restauratori di teatri, dei quali rimane una
    imponente documentazione archeologica.

2
Distribuzione geografica dei principali teatri
greci nel bacino del Mar Egeo
Megalopolis
3
Epidauro
4
Priene (Turchia)
5
Delfi
6
Distribuzione geografica dei principali teatri
greci e greco-romani in Sicilia e Magna Grecia
7
Il Teatro greco di Siracusa
Questo bellissimo monumento antico ha ancor oggi
una funzione importante, in quanto è sede dal
1914 delle rappresentazioni di teatro classico
curate dallI.N.D.A., che si alternano a convegni
di studiosi del teatro antico.Siracusa ebbe un
teatro fin da epoca molto antica al tempo di
Eschilo il tiranno Ierone invitò il drammaturgo
ateniese e gli fece rappresentare i Persiani a
Siracusa. Ledificio teatrale fu ricostruito
completamente nel III secolo a. C. da Ierone II,
e successivamente trasformato in modo radicale
per dargli la forma del teatro romano (I-II
secolo d.C.), con grandi edifici scenici
addossati alla cavea.
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Segesta
9
Teatri e amfiteatri di età imperiale nelle
colonie romane del Mediterraneo
10
Il teatro romano di Orange
11
Amfiteatro di Arles, in Provenza.
12
2. Fonti letterarie Nellantichità numerosi
autori si occuparono di teatro, sia da un punto
di vista letterario sia da un punto di vista di
storia dello spettacolo. Di questa vasta
produzione critica a noi non è arrivato che
pochissimo, e tuttavia molte delle informazioni
che quelle opere contenevano sono sopravvissute
grazie ad alcuni testi che ci hanno conservato
dati sulla natura degli edifici teatrali, sui
mezzi scenici di cui gli autori disponevano,
sulla terminologia tecnica legata al teatro, sui
costumi e le maschere e via dicendo. Ricordiamo
in particolare a) La Poetica di Aristotele,
della quale è sopravvissuto solo il libro
relativo alla tragedia. Si tratta di un documento
di interpretazione complessa, ma estremamente
importante perché scritto da un filosofo vissuto
a meno di cento anni di distanza dallepoca delle
rappresentazioni di cui parla, e che leggeva una
quantità di opere molto superiore alla
nostra. b) il De Architectura dellarchitetto
romano Vitruvio (I secolo d.C.), che nel quinto
libro descrive la forma dei teatri greci e
romani b) lOnomasticon dellerudito greco
Giulio Polluce, che nel II secolo d. C. compila
un lessico di termini tecnici, dedicando ampio
spazio alla terminologia teatrale e conservando
un importante elenco di tipi di maschere e
costumi del teatro tragico e comico. Il limite
più rilevante delle notizie ricavabili da
Vitruvio e Polluce è la loro grande distanza
cronologica dagli autori dellepoca classica
greca (V-IV secolo a. C.). Questo fa sì che essi
spesso attribuiscano allepoca classica fenomeni
e soluzioni tecniche che appartengono invece ad
epoche più tarde, e che tendano in generale a
sovrapporre limmagine del teatro che essi
conoscevano a quella del tempo degli autori
classici.
13
3. Fonti iconografiche Nel grande naufragio che
ci ha privato della massima parte della pittura
antica, sono sopravvissuti alcuni documenti molto
importanti per noi, che raffigurano scene di vita
teatrale o che rappresentano soggetti che erano
stati resi molto popolari dal teatro. Il
contributo più importante ci viene dalla pittura
vascolare, e cioè le decorazioni dei vasi di
ceramica di cui Atene e altre città della Grecia
Continentale furono grandi produttrici ed
esportatrici, soprattutto verso le colonie
dellItalia Meridionale. La natura resistente del
materiale ha consentinto che moltissimi vasi o
frammenti di vasi siano giunti sino a noi. Molti
di essi risalgono al V e IV secolo a. C. e ci
offrono così le sole immagini direttamente
rapportabili alla realtà teatrale dellAtene
classica. Linterpretazione di molte
testimonianze di questo tipo è per altro assai
controversa, perché non possiamo determinare in
che misura le scene siano state elaborate
fantasticamente daglia rtisti, e dunque ci è
difficile valutare il grado di fedeltà alla
realtà teatrale. Importanti contributi ci vengono
anche da alcuni mosaici raffiguranti scene di
teatro, soprattutto di commedia, e da una vasta
produzione fittile di maschere e figurine di
attori e personaggi di teatro, delle quali si
parlerà a suo tempo.
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(No Transcript)
15
4. I testi drammatici La più grande parte delle
conoscenze del teatro antico ci viene dunque dai
testi teatrali che sono arrivati fino a noi
attraverso un lungo e complesso processo di
tradizione manoscritta, che li ha talora
danneggiati o alterati. Si tratta di un immenso
patrimonio di scrittura teatrale, che si è
tramandato senza essere corredato di didascalie
sceniche e indicazioni di regia. Tuttavia, la
natura particoalre del dialogo scenico antico fa
sì che dai testi sia per noi possibile in buona
misura ricavare anche le principali coordinate
della messa in scena originale movimenti degli
attori, entrate, uscite, situazioni
convenzionali, uso delle macchine teatrali,
organizzazione dello spazio entro cui è
ambientata la vicenda. I dati ricavabili dai
testi vanno continuamente posti a confronto con
quelli ricavacili dalle altre categorie di fonti
sopra ricordate, con interazioni spesso
problematiche e molto discusse, ma comunque
essenziali. Della immensa produzione teatrale
degli antichi a noi è arrivata una piccolissima
porzione, e precisamente alcune opere di sette
autori, certamente i più grandi e celebri del
loro tempo.
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GLI AUTORI DEL TEATRO CLASSICO Eschilo (525-456
a. C.) Persiani, Sette a Tebe, Supplici,
Prometeo, Orestea (Agamennone, Coefore,
Eumenidi) Sofocle (497-406 a. C.) Aiace,
Antigone, Trachinie, Elettra, Edipo re,
Filottete, Edipo a Colono Euripide (485-405
a.C.) Alcesti, Medea, Eraclidi, Ippolito,
Andromaca, Ecuba, Supplici, Eracle, Elettra,
Troiane, Ifigenia Taurica, Elena, Ione, Fenicie,
Oreste, Baccanti, Ifigenia in Aulide, Il Ciclope
(dramma satiresco). Aristofane (445 ca.- 385 ca.
a. C.) Acarnesi, Cavalieri, Nuvole, Vespe, Pace,
Uccelli, Lisistrata, Le donne alle Tesmoforie,
Rane, Le donne in assemblea, Pluto Menandro
(341-291 a. C.) Dyskolos, Arbitrato, La donna di
Samo, La ragazza tosata, Il Sicionio, lo Scudo,
lOdiato ecc. Plauto (255 ca. - 184 ca. a. C.
) Amfitrione, Asinaria, Aulularia, Captivi,
Curculio, Casina, Cistellaria, Epidicus, Le
Bacchidi, Mostellaria, I Menecmi, Miles
gloriosus, Mercator, Pseudolo, Poenulus, Il
Persiano, Rudens, Stichus, Trinummus,
Truculentus, Vidularia Terenzio (185 ca. - 159
a. C.) La donna di Andro, Il punitore di se
stesso, Leunuco, Formione, I fratelli, La
suocera.
17
Le feste drammatiche di Atene
1. Le Dionisie Cittadine (o Grandi Dionisie) Si
tenevano nel mese di Elafebolione, corrispondente
per gli Ateniesi a Marzo-Aprile, in
corrispondenza dunque della primavera e della
ripresa della navigazione e dei commerci.
Prevedevano una fastosa processione che ricordava
larrivo di Dioniso in Atene, durante la quale si
portava la statua del dio dal borgo di Eleuthere
al teatro. Durante la processione venivano anche
realizzati cortei falloforici, che portavano cioè
simulacri del membro maschile come avveniva nei
più antichi rituali dionisiaci. Momento centrale
erano le competizioni poetiche e drammatiche, che
comprendevano tre categorie ditirambi, tragedie
e commedie. Il primo concorso tragico risale al
534 a. C., e vi avrebbe partecipato il poeta
Tespi. Il primo concorso comico risale invece al
486 a. C. Al concorso tragico venivano ammessi
tre poeti, che presentavano ciascuno quattro
opere, tre tragedie e un dramma satiresco. Al
concorso comico erano ammessi cinque poeti, ma
durante il V secolo, in momenti difficili per la
città di Atene, il numero scese in certi periodi
a tre. Per epoche più tarde si ha notizia di
concorsi con sei poeti. La ricostruzione del
calendario della festa è molto controversa per
il V secolo a. C. si hanno informazioni sicure
solo sul giorno della processione (10 di
elafebolione) e su tre giorni (11, 12, 13 di
Elafebolione) in ciascuno dei quali nei quali
veniva rapresentata una tetralogia tragica a
partire dallalba e una commedia nel pomeriggio.
Sembra necessario tuttavia postulare una quarta
giornata di rappresentazione per i periodi in cui
i poeti comici erano cinque. La giuria era
composta da dieci persone, una per ognuna delle
tribù in cui era divisa la popolazione ateniese.
La procedura di voto è sconosciuta sappiamo che
dei dieci voti solo cinque erano ritenuti validi,
ma non come fossero scelti. Le spese per
lallestimento e listruzione dei cori, che nel V
secolo a. C. erano composti da semplici cittadini
non professionisti, erano a carico di cittadini
abbienti designati dallo stato, detti corèghi. La
coregia era dispendiosa ma assai prestigiosa,
soprattutto in caso di vittoria del proprio
coro. Gli attori che recitavano nelle tragedie e
nelle commedie erano invece pagati direttamente
dallo stato. Col tempo, fu istituito un concorso
anche per gli attori (dal 449 a. C. per gli
attori tragici)
18
Le Lenee Si tenevano nel mese di Gamelione
(Gennaio) in un luogo detto Leneo, non
identificato con precisione. Dopo la costruzione
del teatro, tuttavia, le rappresentazioni si
tenevano lì. Erano feste locali, senza accesso di
stranieri. Della loro articolazione sappiamo
molto poco. I concorsi drammatici vi
cominciarono non prima della metà del V secolo a.
C, (prima lagone comico dal 442 a. C., poi
quello tragico, forse dal 432 a. C.). A quanto
sembra le commedie vi avevano un ruolo più
rilevante che le tragedie. I poeti ammessi in
gara erano cinque per volta, ognuno con una
commedia e sappiamo che i comici partecipavano
volentieri a questo concorso. Sembra però di
capire che la vittoria alle Lenee non avesse lo
stesso prestigio di quella delle Dionisie.
Quattro commedie di Aristofane tra quelle che
possediamo (Acarnesi, Cavalieri, Vespe e Rane)
furono presentate alle Lenee. Per lagone tragico
c'erano in gara solo due poeti, con due tragedie
senza dramma satiresco. Non sappiamo se i tragici
più celebri (Eschilo, Sofocle, Euripide) vi
abbiano partecipato, ma è probabile di sì.
Sappiamo con certezza che alle Lenee 416 a. C.
vinse Agatone, un tragico assai famoso. Anche le
Lenee ebbero concorsi per gli attori tragici e
comici.
Le Dionisie Rurali Si svolgevano nel mese di
Posideone (dicembre-gennaio) nei demi (distretti)
rurali di Atene. Uno degli eventi principali
della festa era lorganizzazione di una
processione in cui si portava un grande fallo su
una pertica, intonando canti a facendo offerte a
Phales, simbolo della fertilità e compagno di
Dioniso. Questa processione ha rilievo per il
teatro perché una delle commedie di Aristofane,
gli Acarnesi, ne mettono in scena una. Poiché
queste feste si svolgevano in ogni demo, non
possiamo sapere se dappertutto venissero
organizzati agoni drammatici. Certamente si
organizzavano al Pireo, dove esisteva anche un
teatro. Negli agoni tragici e comici, a
differenza che nelle Lenee e nelle Grandi
Dionisie, era permesso presentare repliche di
opere già presentate. Non sappiamo nulla circa le
modalità delle competizioni.
19
I ludi scenici a Roma
  • 1) Ludi Romani o Magni, in onore di Giove Ottimo
    Massimo. Sono i ludi più antichi, istituiti
    secondo la tradizione nel V secolo a.C., al tempo
    del re Tarquinio Prisco, con giochi di carattere
    atletico e circense (cavalli, pugilato).
    Divennero annuali a partire dal 366 a. C., e a
    partire dal 214 a. C. comprendevano quattro
    giorni, dal 16 al 19 di settembre, dedicati alle
    rappresentazioni.
  • 2) Ludi Saeculares, istituiti nel 509 a. C.,
    furono ripresi nel 348 a.C., e dovevano svolgersi
    ogni cento anni. In realtà si tennero nel 249 e
    146 a. C.
  • 3) Ludi Florales, istituiti nel 238 a. C. in
    onore della dea Flora, perché garantisse una
    stagione feconda. Annuali a partire dal 174, si
    celebravano dal 28 aprile al 3 maggio.
  • 4) Ludi Plebeii, istituiti nel 220 a. C. e
    celebrati nel Circo Flaminio dal 4 al 17 di
    novembre, divennero scenici nel 200 a. C. (vi fu
    rappresentato lo Stichus di Plauto)
  • 5) Ludi Apollinares, istituiti in onore di Apollo
    nel 213/212 a. C., quando Annibale minacciava
    Roma. Si tenevano in luglio. Originariamente si
    celebravano nel Circo Massimo. Divennero scenici
    nel 199 a. C. allinizio duravano un solo
    giorno, poi divennero di tre giorni dal 190 a.
    C., e di otto al tempo di Augusto (sei dei quali
    dedicati ai ludi scenici).
  • 6) Ludi Cereris (Cerialia), in onore di Cerere,
    furono istituiti nel 202 a. C., si tenevano dal
    12 al 18 aprile. Non è certo che vi essi
    comprendessero ludi scenici già nel II a. C., ma
    certamente ve ne erano un età augustea (7
    giorni).
  • 7) Ludi Megalensens, istituiti nel 204 a. C.,
    celebrati sul Palatino in onore della Magna
    Mater, furono resi scenici nel 194 a. C. 4. Più
    tardi, in età imperiale erano sei giorni di
    giochi, dal 4 al 10 aprile. È importante
    ricordare che una delle commedie di Plauto
    (Pseudolo) e quattro delle sei commedie di
    Terenzio (La donna di Andro, La Suocera I, Il
    punitore di se stesso, Leunuco) furono messe in
    scena in questi giochi.

20
La struttura formale della tragedia greca
Le tragedie che ci sono arrivate sono costruite
secondo una alternanza di parti recitate dagli
attori e canti del coro. Queste parti sono
descritte da Aristotele nella Poetica. Lo schema
essenziale è il seguente Prologo, lett.
discorso che viene prima (dellingresso del
coro). Il prologo è una parte recitata da uno o
più attori prima che entri in scena il gruppo
corale. Può essere composto da una o due scene,
che in Eschilo e Sofocle, e nel primo Euripide,
sono parte integrante dellazione. Nelle tragedie
più tarde di euripide, il prologo tende invece ad
esporre gli antefatti del dramma. Il prologo può
anche mancare ne sono prive due tragedie di
Eschilo, i Persiani e Supplici di
Eschilo. Parodo (canto di ingresso). È il
canto corale che accompagna lingresso del coro,
che va posizionarsi nellorchestra. Di regola
contiene indicazioni sulla composizione del coro
e sulla ragione della sua presenza. Episodi (il
termine epeisodion significava in origine
ingresso, con riferimento allarrivo di nuovi
personaggi dopo il canto del Coro). Gli episodi,
recitati dagli attori, sono individuati da un
canto corale che li precede e d uno che li
segue. Nel caso del primo episodio, il canto
precedente è la parodo, e il seguente il primo
stasimo, per gli altri, si tratta di due stasimi.
La recitazione degli episodi poteva prevedere
lunghi discorsi (rheseis), o serrati confronti
dialogici molto formalizzati come le sticomitie,
in cui ciascun personaggio pronunciava un verso a
turno). Nel dialogo racitato poteva intervenire
anche il capocoro, detto Corifeo, che in questi
casi recitava. Gli episodi potevano prevedere
parti cantate dagli attori (monodie) Stasimi
(canti del Coro in posizione) Gli stasimi erano
parti cantate e danzate dal Coro, che di regola
restava solo in scena (con qualche eccezione).
Essi dividevano un episodio dal successivo. Sono
almeno tre, ma in Sofocle ed Euripide se ne hanno
talora quattro o anche cinque. Esodo (uscita)
Aristotele definisce esodo tutta la parte
recitata o cantata dagli attori che seguiva
lultimo stasimo. Il dramma si concludeva con
luscita finale di tutti i personaggi.
21
La struttura formale della commedia greca A. La
commedia antica
  • Sotto il nome di Commedia Antica si comprendono
    tutte le opere comiche scritte fino alla fine del
    V secolo. Dei circa 40 poeti attivi in questo
    periodo, solo di uno sono rimaste le opere
    Aristofane. La descrizione della forma comica
    antica non può che essere dunque quella delle sue
    commedie, ma non possiamo escludere che altri
    poeti adottassero strutture leggermente diverse.
    Si deve anche tener conto che la commedia è un
    genere molto più libero della tragedia, che
    presenta variazioni formali anche assai
    consistenti.
  • Prologo. È un sezione lunga (fino a 300 e più
    versi), che comprende scene introduttive con più
    attori recitanti, fino allingresso del Coro. Di
    regola esso comprende una piccola azione completa
    in se stessa, che sta per essere portata a
    conclusione quando viene interrotta
    dallirruzione del Coro. Esempio nel prologo
    degli Acarnesi, Diceopoli va allassemblea e poi
    mette in atto il suo tentativo di fare la pace
    personale con Sparta il Coro irrompe adirato per
    punire il traditore.
  • Parodo è la scena dell'ingresso del Coro.
    Ventiquattro coreuti entrano, in modo in genre
    abbastanza vivace. Spesso il Coro entra in
    situazioni di scontro, o di inseguimento, tali
    comunque da generare una certa confusione.
    Talvolta cè un canto a sé stante, altre volte i
    coreuti entrano direttamente partecipando al
    dialogo.
  • Agone. Questa parte prende prende nome dalla
    presenza di uno scontro verbale fra due
    personaggi. Lagone, nella sua forma completa
    (non sempre presente) è così strutturato
  • 1.Ode, cioè canto del coro che commenta lo
    scontro imminente
  • 2. katakeleusmos, cioè esortazione (sono due
    versi del corifeo che si rivolge al primo
    antagonista invitandolo a parlare
  • 3. Epirrema cioè intervento del primo
    antagonista, che è destinato alla sconfitta.
  • 4. Pnigos (soffocamento), appendice
    dell'epirrema con ritmo accelerato
  • Il tutto si ripete per il seocndo antagonista,
    con la sequenza
  • antodé
  • antikatakeleusmos
  • antepirrema
  • antipnigos.
  • In tre commedie (Cav. 457-60 Vesp. 725-27 Ucc.
    627-38) c'è infine una sphragis, dove il Coro si
    congratula con il vincitore. Lagone talora è
    raddoppiato (Cavalieri, Nuvole, Vespe Uccelli)
    talora invece manca (Acarnesi, Pace,
    Tesmoforiazuse)

22
Parabasi. È questa certamente la forma più
caratteristica della commedia arcaica. Ad un
certo punto della commedia, gli attori lasciano
la scena, i coreuti si tolgono i mantelli e si
rivolono agli spettatori, abbandonando la propria
identità drammatica e avviando una conversazione
diretta fra autore e pubblico, su argomenti vari
di politica attualità e polemica teatrale. In
Aristofane la parabasi è collocata di solito al
centro del dramma. Essa presenta sette parti
1) kommation, pochi versi con cui il Coro si
congeda dagli attori che lasciano la scena 2)
anapesti si tratta di una parte che prende nome
dal verso utilizzato, nella quale il poeta parla
di argomenti totalmente estranei alla commedia.
Il Corifeo fa riferimento a fatti della vita
politica ateniese, a polemiche e rivalità fra
autori comici, ecc. 3) Pnigos (soffocamento),
parte finale degli anapesti 4) ode (canto in
metri lirici) 5) epirrema (parte in versi
recitativi di argomento vario) 6) antode 7)
antepirrema. La parabasi è attestata nella sua
forma completa in Acarnesi (626-718), Cavalieri
(498-610), Vespe (1009-1121), Uccelli (676-800).
Nelle Nuvole manca lo pnigos (510-626) Nella
Pace mancano epirrema e antepirrema. Nelle ultime
commedie la forma appare in via di
atrofizzazione. Nella Lisistrata e nelle Donne
alle Tesmoforie compaiono solo alcune parti.
Inoltre a partire dagli Uccelli il Coro tende a
non abbandonare più lidentità drammatica, e non
parla più dia argomenti extradrammatici. Nelle
Ecclesiazuse e nel Pluto la parabasi manca del
tutto, in corrispondenza di una progressiva
involuzione della componente corale. Alla
parabasi seguono di regola una serie di scene
comiche molto libere, senza una struttura precisa
e senza che lazione drammatica proceda
significativamente, con larrivo in sequuenza di
numerosi personaggi che si confrontano con il
protagonista trionfante e ne vengono di dolito
sbeffeggiati. Esodo è la parte finale della
commedia, caratterizzata in genere da
festeggiamenti, banchetti e altra forme di
baldoria cui i personaggi si avviano nelluscire,
in una atmosfera festosa. Alcune commedie si
concludono con una processione festante che
lascia lorchestra.
23
La forma della commedia greca B. La Commedia Nuova
  • A partire dalla fine del V secolo, in
    corrispondenza di importanti cambiamenti nella
    società ateniese, la commedia va incontro a
    profondi cambiamenti sia sul piano della forma
    sia su quello dei contenuti. Per noi è molto
    difficile seguire questa evoluzione, perché quasi
    tutto è andato perduto della produzione teatrale
    comica ateniese fra il 388 (anno dellultima
    commedia di Aristofane e il 320 a. C. (inizio
    della carriera di Menandro). Questa fase viene
    definita già da epoca antica Commedia di
    Mezzo. Di essa conosciamo molti nomi (tra questi
    i più importanti sono Alessi, Anassandrida,
    Antifane, Eubulo), ma leggiamo solo frammenti
    delle opere. Per noi la commedia ridiventa
    leggibile con la Commedia cosiddetta Nuova
    (seconda metà del IV secolo a. C.), e in
    particolare con Menandro, che ci mostra alcuni
    mutamenti essenziali ormai avvenuti. Tra questi i
    principali sono
  • La commedia ha perso completamente la struttura
    libera della commedia aristofanea, e si sviluppa
    secondo uno schema più rigido, che vede un
    prologo dapertura, di solito recitato da un dio
    o da un personaggio onnisciente che informa gli
    spettatori non solo dellantefatto ma anche della
    storia che vedranno rappresentata, seguito da una
    regolare sequenza di cinque atti, che resterà
    stabile nella tradizione teatrale romana e
    passerà allepoca moderna. Non siamo in grado di
    dire quando esattamente la divisione in atti si
    introduce nella commedia, ma Menandro la pratica
    regolarmente
  • La componente corale è regredita definitivamente,
    al punto che il coro non ha più altro ruolo che
    quello di eseguire gli intermezzi che dividono un
    atto dallaltro. Queste parti sono però ormai
    avvertite come estranee al dramma, al punto che
    nei manoscritti non ne vengono neppure più
    trascritte le parole. Di fatto, dunque, Menandro
    ci presenta una commedia tutta recitata dagli
    attori, in cui la componente musicale della
    commedia antica è quasi del tutto scomparsa.
    Sappiamo che nella cosiddetta Commedia di Mezzo,
    nella prima metà del IV secolo a. C., il Coro
    cera ancora, anche se certo.
  • c) I personaggi della commedia subiscono un
    processo di standardizzazione, e si definiscono
    in una serie tipi ripetitivi il vecchio avaro o
    severo, il giovane innamorato e pronto a spendere
    i denari paterni, lo schiavo astuto che aiuta il
    padroncino ai danni del padrone vecchio, la
    giovane povera ma onesta, magari creduta schiava
    e che alla fine si rivela libera e cittadina
    ateniese, la donna di facili costumi con la quale
    si dilapidano i soldi, la vecchia ubriacona. A
    questa tipologia corrisponde una
    standardizzazione delle trame, centrate di regola
    su storie di amore contrastato e sulle astuzie
    con cui i giovani riescono a gabbare i padri
    ottenendo denaro per i loro amori. Un ruolo
    considervole è svolto dagli equivoci causati da
    storie di bambini abbandonati o rapiti che alla
    fine vengono riconosciuti dai genitori o dai
    parenti.

24
Il dramma satiresco
Dei tre generi del teatro antico il dramma
satiresco è la forma che conosciamo meno bene, in
quanto praticamente tutta la produzione di questo
genere è andata perduta. Ne abbiamo solo un
esempio integro, il Ciclope di Euripide. Il
dramma satiresco veniva rappresentato come ultima
parte della tetralogia, dopo tre tragedie. Aveva
carattere di tragedia giocosa, e ripeteva dunque
le forme del genere maggiore con alcune varianti
di natura scherzosa. Esso aveva dunque una
struttura con prologo, parodo, episodi e
stasimi, e somigliava anche nella lingua e nello
stile alla tragedia, naturalmente con maggiore
libertà nel lessico, nella metrica e nelle
situazioni. Il tratto più caratteristico del
dramma satiresco era certamente la presenza
costante di un coro di Satiri (figure semiferine
con coda e orecchie di cavallo, fornite di
abnormi attributi genitali si veda limmagine a
lato) guidati dal vecchio Satiro Sileno. I Satiri
hanno come caratteristiche la sfrenatezzza
sessuale e soprattutto la passione per il vino e
lebbrezza dionisiaca. Sono inoltre codardi e
poco affidabili. Gli argomenti erano tratti da
miti allegri e scherzosi, oppure mettevano in
parodia episodi celebri come laccecamento di
Polifemo da parte di Ulisse nel citato Ciclope di
Euripide. Una parte rilevante era sempre
assegnata al vino e allebbrezza dionisiaca.
Lambientazione era allaperto, in ambienti
naturali campestri o marini, senza abitazioni
umane.
Coppa attica a figure rosse con immagine di un
Satiro appartenente a un coro di dramma
satirsco. Si ditinguono bene la maschera barbuta
indossata dal coreuta, il gonnellino maculato che
rende lidea del pelo animale, il fallo e la coda
equina
25
Il teatro romano cantica e deverbia
  • Nel descrivere le forme che il dramma di
    derivazione greca assunse a Roma, bisogna
    sottolineare un elemento di differenza importante
    rispetto ai modelli. Là dove la tragedia e la
    commedia greca avevano sostanzialmente diviso i
    ruoli fra parti recitate, di competenza degli
    attori, e parti cantate di competenza del Coro
    (con poche eccezioni rappresentate dalle monodie
    di attori e dai dialoghi lirici cui partecipavano
    coro e attori), il teatro latino introduce la
    tendenza a trasformare quelli che negli originali
    greci sono monologhi e dialoghi recitati da
    attori in parti cantate, i cosiddetti cantica,
    che si alternano alle parti recitate, dette
    deverbia. Di conseguenza, la componente musicale
    finisce per avere un ruolo più ampio che nei
    modelli greci, anche se il ruolo del coro è molto
    diminuito e - nella commedia - del tutto assente.
    Inoltre, lalternanza di canto e recitazione è
    più varia e meno regolare di quanto accade nel
    dramma greco. Per la commedia, in particolare,
    oggi si tende a distinguere ancora più in
    dettaglio fra i cantica lirici veri e propri,
    caratterizzati da grande estensione e da
    polimetria, e i cosiddetti cantica mutatis modis,
    che sono qualcosa di affine al recitativo della
    nostra opera lirica, e cioè versi lunghi di
    natura venivano recitati con accompagnamento
    musicale.
  • Quale sia lorigine dei cantica è problema
    dibattuto fra gli studiosi. Tre sono le tesi che
    hanno goduto il passato o godono attualmente di
    maggior credito.
  • I cantica riproducono forse forme presenti nel
    dramma ellenistico (III-I secolo a. C.), a noi
    pressoché sconosciuto, che si reintroducono nei
    riadattamenti latini di opere greche più antiche.
  • I cantica potrebbero derivare dallinflusso delle
    forme teatrali italiche più antiche
  • I cantica costituiscono una sopravvivenza della
    polimetria e del ruolo della musica che
    caratterizzava la commedia antica.

26
La tragedia a Roma generi e struttura
Fabula cothurnata. Con questo nome si
definiscono le tragedie latine di argomento
greco, quelle cioè che riprendono o rimaneggiano
opere dei tragici greci. Il nome deriva dal
cothurnus, la calzatura indossata dagli attori
tragici nel periodo ellenistico. Il genere fu
inaugurato da Livio Andronico. Non ci è rimasta
nessuna tragedia completa di questo genere
appartenente al periodo del grande teatro latino
(III-II secolo a. C.) le prime cothurnatae che
si possono leggere integre sono quelle tarde di
Seneca (I sec. d. C.), scritte molto
probabilmente per la lettura e non più per la
rappresentazione. La forma della fabula
cothurnata è strettamente connessa a quella della
tragedia greca. Il dato più rilevante, che
differenzia la tragedia romana dalla commedia
coeva è che nel dramma tragico è ancora presente
il coro. È probabile che la presenza nei modelli
tragici greci di parti miste cantate assieme da
Coro e attori (che mancavano invece nella
commedia nuova) abbia incoraggiato i primi autori
latini a far convivere cantica e parti corali. Il
Coro nella tragedia romana svolgeva probabilmente
un ruolo ridotto, affine forse a quello della
tragedia greca postclassica deli IV e III secolo
a. C. Si trattava soprattutto di interludii, e
solo raramente di scene in cui il Coro
partecipava direttamente allazione. È importante
ricordare che, a differenza di quello della
tragedia greca, il Coro della tragedia romana non
restava costantemente in scena, ma usciva dopo
ogni pezzo lasciando la scena agli attori. Poiché
nessuna tragedia latina è sopravvissuta, ci è
molto difficile giudicarne la struttura
complessiva. È probabile però che la presenza
degli interludi corali articolasse la
rappresentazione in cinque atti. Per quel che
possiamo capire, dovevano essere presenti il
prologo e la sequenza degli episodi. Fabula
praetexta Con questo nome si designano le
tragedie il cui argomento non deriva da un
originale greco, ma è invece appartenente alla
leggenda o alla storia romana (ad esempio il
Romulus di Nevio che narrava le vicende delle
origini di Roma). Il nome deriva dalla toga
praetexta, la toga orlata di porpora che veniva
indossata dai senatori e dai personaggi più in
vista. Non essendo sopravvissuto nessun esempio
del genere, né frammenti significativi, non è
possibile dar una descrizione della struttura di
una praetexta.
27
La commedia romana generi e struttura
Fabula palliata Nella commedia nuova greca gli
attori vestivano una tunica, il chitone, e sopra
di esso un mantello, himation in greco, pallium
in latino. Da questo indumento deriva il nome
delle commedie latine di argomento e
ambientazione greca, dette fabulae palliatae, o
più semplicemente palliate. Tutte le commedie
romane che sono sopravvissute integre (21 di
Plauto, 6 di Terenzio) appartengono a questo
genere teatrale. La struttura della palliata
riproduce quella della commedia nuova greca, ma
spesso nel rimaneggiamento delloriginale le
distinzioni originarie fra gli atti venivano
obliterate. Di fatto lunità fondamentale della
commedia latina è la singola scena. Le divisioni
in atti che si sono tramandate nei manoscritti
non sono originali, e spesso non corrispondono ad
effettive articoalzioni dellopera
drammatica. Fabula togata Nelle commedie
ambientate a Roma o in territorio romano, invece,
i personaggi sopra la tunica indossavano il
caratteristico indumento romano, la toga queste
fabulae dunque erano dette togatae. La togata
ebbe numerosi cultori a Roma, ma quasi nulla ne è
sopravvissuto
28
Il problema delle origini della tragedia
  • Le origini della tragedia restano per noi immerse
    nelloscurità. Una serie di testimonianze sparse
    non pernette di arrivare ad una definizione
    univoca del processo che portò alla nascita della
    rappresentazione tragica. Innumerevoli tentativi
    sono stati fatti per colmare il vuoto di
    conoscenza che ci separa dalle prime forme di
    teatro tragico, ma nessuno di essi può fare a
    meno di una sequenza di ipotesi non verificabili.
  • Nellanalisi di questo problema concorrono due
    approcci il primo si basa su alcune notizie
    conservateci da fonti antiche, e in particolare
    da una passo della Poetica di Aristotele e da
    poche altre testimonianze che risultano difficili
    da conciliare luna con laltra. Il secondo
    prescinde dalle poche e dubbie notizie tramandate
    e preferisce un approccio di tipo etnologico che
    riconnette la tragedia a forme primitive di danza
    mascherata che puntavano a proteggere la comunità
    da dèi e spiriti maligni, o a altre forme di
    religiosità agraria mediterranea o indoeuropea, o
    anche a lamentazioni funebri per la morte della
    divinità.
  • Non potendo esporre neppure sommariamente i
    termini di un dibattito vastissimo, ci limitiamo
    a fissare alcuni punti e a esporre alcuni
    problemi aperti
  • Il significato del temine tragedia
  • Il rapporto della tragedia con il culto di
    Dioniso
  • La validità delle notizie di Aristotele e il
    problema del rapporto fra la tragedia e il
    satiresco
  • Come entrano nella tragedia le storie mitiche di
    argomento non dionisiaco?
  • Qual è il rapporto fra tragedia e Ditirambo?
  • La tragedia è una creazione ateniese o gli autori
    ateniesi perfezionano qualcosa che veniva loro da
    altre città della Grecia Dorica (Corinto,
    Sicione)?
  • A questo proposito discuteremo soltanto della
    fondamentale testimonianza di Aristotele.

29
Le origini della tragedia e della commedia
secondo Aristotele (Poetica 1448b 20 - 1449b 9,
traduzione di Diego Lanza)
Poiché dunque noi siamo naturalmente in possesso
della capacità di imitare, della musica e del
ritmo (i versi, è chiaro, fanno parte del ritmo),
dapprincipio coloro che per natura erano più
portati a questo genere di cose, con un processo
graduale dalle improvvisazioni dettero vita alla
poesia. La poesia poi si distinse secondo la
proprietà dei caratteri i più severi imitarono
le azioni apprezzabili e di gente apprezzabile,
quelli di gusti più facili quelle della gente
dappoco, dapprincipio componendo motteggi come
gli altri inni ed encomi. Di nessuno di quelli
che precedettero Omero possiamo menzionare alcun
componimento poetico del genere, ma è probabile
che ce ne fossero molti ci è invece possibile
incominciando da Omero, come per esempio il suo
Margite ecc. In essi, secondo convenienza,
intervenne anche il verso giambico, anche perciò
si chiama oggi giambo, perché in questo verso ci
si scherniva reciprocamente. E i poeti antichi,
gli uni divennero autori di poesie eroiche, gli
altri di giambi. Come dunque Omero fu il massimo
poeta nel serio (fu unico non solo per la
bravura, ma anche perché produsse imitazioni di
tipo drammatico), così per primo fece
intravvedere anche la forma della commedia,
drammatizzando non il motteggio, ma ciò che è
ridicolo. Come l'Iliade e l'Odissea sono il
corrispondente della tragedia, così il Margite lo
è della commedia. Apparse dunque la tragedia e la
commedia, di coloro che per la propria natura
erano portati all'una o all' altra attività
poetica, gli uni, anziché di giambi divennero
compositori di commedie, gli altri, anziché di
canti epici, tragedi, perché queste forme erano
più potenti e più stimate di quelle. Indagare se
la tragedia in rapporto ai suoi elementi sia già
compiuta o no, e giudicare questo sia in sé sia
in rapporto al pubblico, è un altro discorso.
Sorta dunque da un principio di improvvisazione -
sia essa sia la commedia, una da coloro che
guidavano il ditirambo, l'altra da coloro che
guidavano i cortei fallici che ancora oggi
rimangono in uso in molte città - a poco a poco
crebbe perché i poeti sviluppavano quanto in essa
veniva manifestandosi, ed essendo passata per
molti mutamenti la tragedia smise di mutare
quando ebbe conseguito la propria natura. Eschilo
fu il primo a portare il numero degli attori da
uno a due, a ridurre la parte del coro e a
conferire un ruolo rilevante alla parola di
Sofocle sono i tre attori e la pittura degli
scenari. Per quanto poi riguarda la grandezza da
racconti piccoli e un linguaggio scherzoso,
poiché il suo processo di trasformazione muoveva
dal satiresco, assunse tardi toni solenni, e il
verso di tetrametro si fece giambo. All'inizio si
adoperava il tetrametro perché la poesia era
satiresca e piuttosto ballabile, ma, affermatesi
il parlato, fu la stessa natura a trovare il
verso appropriato il giambico è in effetti il
verso più colloquiale e un segno di ciò è che
nella nostra conversazione ci capita di dire
spesso giambi, mentre è raro che si dicano
esametri, e solo quando ci si allontana dal tono
discorsivo. Per quanto riguarda poi il numero
degli episodi e il resto, come si dice che
ciascun elemento abbia trovato la propria
sistemazione, fermiamoci a quel che si è detto.
Considerare ogni particolare sarebbe
probabilmente lavoro eccessivo. La commedia è,
come si è detto, imitazione di persone che
valgono meno, non però per un vizio qualsiasi, ma
del brutto è parte il ridicolo. Il ridicolo è
infatti un errore e una bruttezza indolore eche
non reca danno, proprio come la maschera comica è
qualcosa di brutto e di stravolto senza
sofferenza. Mentre dunque le trasformazioni della
tragedia e le circostanze che le hanno permesse
non ci sono ignote, la commedia ci sfugge, perché
non ha avuto dal principio un adeguato
riconoscimento. L'arconte concesse soltanto tardi
il coro dei comici, essi erano dunque volontari.
Quelli poi che sono chiamati suoi poeti sono
ricordati quando essa dispone già di forme
definite resta perciò ignoto chidefinì
maschere, prologhi, numero degli attori ecc.
Quanto alla composizione dei racconti, essa
venne in principio dalla Sicilia tra quelli in
Atene Cratete fu il primo che, lasciando perdere
la forma del giambo, cominciò a comporre racconti
e storie di valore generale.
30
  • Aristotele fornisce qui alcune informazioni
    importanti
  • La tragedia deriva da coloro che guidavano il
    ditirambo. Il ditirambo è una forma di poesia
    accompagnata da musica e danza ed eseguita da un
    coro, fin da epoca molto antica (almeno VII
    secolo a. C.) associata a Dioniso. Se la notizia
    è attendibile lassociazione della tragedia
    originaria con il culto dionisiaco ne esce
    rafforzata. Incerto è il senso del verbo
    exarchonton usato da Aristotele. Una
    interpretazione è quella proposta di guidavano
    il ditirambo, unaltra è quella di intonavano
    il ditirambo. Controverso è anche se le persone
    di cui parla Aristotele sono i componenti del
    coro ditirambico stesso oppure delle figure
    staccate dal coro che lo guidavano o gli davano
    linvito al canto, secondo un modulo antifonale.
    Con questa seconda interpretazione si potrebbe
    individuare in questi exarchontes del ditirambo
    una figura proto-attoriale. Molti studiosi non
    concordano con questa interpretazione, per altro.
  • La tragedia nasce da un principio di
    improvvisazione e subisce una serie di
    cambiamenti che la portano attraverso un processo
    di maturazione a trovare la sua forma compiuta.
  • Aristotele dà anche una seconda indicazione circa
    lorigine della tragedia, che deriverebbe dal
    saturikon, lelemento satirico. In origine la
    tragedia aveva infatti argomenti scherzosi, e
    solo lentamente sarebbe passata ad argomenti
    seri, modificando anche la natura del verso, che
    da trocaico, adatto ad agomenti leggeri, si fece
    giambico. Questa notizia ci pone due serie
    difficoltà. La prima riguarda la possibilità di
    conciliare la derivazione dal ditirambo con
    quella dal saturikon, la seconda è quella di
    definire il rapporto che esiste fra questo
    saturikon primitivo e il dramma satiresco che
    troviamo ancora vitale nel V secolo e che,
    secondo molte fonti sarebbe nato dopo la tragedia
    (gli antichi ne attribuivano linvenzione a
    Pratina, vissuto alla fine del VI secolo a. C.).
    Cè poi il problema della identificazione esatta
    dei satiri, demoni della natura boschiva che in
    alcune rappresentazioni sono cocnepiti come
    capri, ma in altre hanno evidenti tratti equini.
  • La testimonianza di Aristotele è stata accettata
    come attendibile da molti studiosi, che si basano
    sul fatto che il filosofo di regola faceva
    precedere i suoi scritti da unaccurata fase di
    documentazione. Altri però ritengono che
    Aristotele scrivesse senza avere a disposizione
    alcuna fonte attendibile sulle origini della
    tragedia, e che le sue siano soltanto ipotesi,
    che possono essere del tutto messe da parte.
    Questi studiosi contestano in particolare lidea
    che la gravità e la dignità delle tragedie che
    possediamo possa essersi prodotta come una
    evoluzione di una forma teatrale sostanzialmente
    scherzosa.

31
Alla discussione sulla validità delle notizie di
Aristotele si collega quella sul significato
della parola Tragodia, tragedia. In essa
compaiono evidentemente le due componenti tragos
capro e ode canto. Le interpretazioni
proposte sono canto dei capri, cioè di uomini
travestiti da caproni, che potrebbero anche
essere identificati come i Satiri del primitivo
saturikon aristotelico (ma con le cautele dovute
allincertezza sulla reale natura caprina dei
Satiri). canto per il capro si tratta di una
teoria nata in ambienti culturali antichi che non
accettavano lipotesi aristotelica di derivazione
della tragedia dal saturikon e preferivano lidea
di una forma nata da originari canti agresti, nei
quali si poneva come premio un caprone. Secondo
questa teoria, il dramma satiresco sarebbe nato
più tardi della tragedia. canto per il
sacrificio di un capro, da collocare
sostanzialmente nello stesso contesto agreste e
rituale della interpretazione precedente. Se si
accetta la veridicità del racconto aristotelico,
si può pensare che i satiri, esseri semiferini
caratterizzati da grande lascivia in campo
sessuale fossero in qualche modo accostati ai
capri, animali anchessi connotati nello stesso
senso (si pensi ad esempio al dio Pan), e
progressivamente assimilati. Resta il problema di
conciliare ditirambo e satyrikon come origine
della tragedia. Alcune notizie ci dicono che il
poeta Arione, cui si attribuiva lo sviluppo
delditirambo come forma darte, sarebbe stato il
creatore della tragedia e avrebbe introdotto nel
ditirambo dei Satiri che pronunciavano versi. Se
questa ricostruzione è corretta, Arione avrebbe
fatto il passo decisivo unendo allantico canto
dionisiaco il contributo dei satiri e avviando il
processo che doveva portare alla nascita della
tragedia. Per quanto riguarda infine la questione
dellintroduzione in una tragedia originariamente
dionisiaca deglia rgomenti di carattere serio e
dei miti non dionisiaci, è importante una notizia
secondo la quale nella città di Sicione
esistevano dei canti che ricordavano le gesta di
Adrasto, un eroe di Argo che nel VI secolo un
tiranno, Clistene, intese cancellare dal culto
cittadino per ragioni di ostilità verso Argo.
Clistene assegnò allora i cori a Dioniso. Un
passaggio di questo genere potrebbe testimoniare
la fase in cui canti che narrano vicende di eroi
si associano a forme darte dionisiache, e darci
unidea della trasformazione che porta la
tragedia dallallegria satiresca alla serietà
32
Lorigine della commedia
Nonostante che Aristotele nel passo della Poetica
già discusso dica che sullevoluzione della
commedia ci sono molte meno notizie che su quella
della tragedia, le origini di questa forma
teatrale possono essere individuate con maggior
sicurezza. Aristotele attesta esplicitamente che
la commedia trae origine da coloro che guidavano
i cortei fallici (fallofòrie) che ancora oggi
rimangono in uso in molte città, e dunque da
situazioni rituali tipicamente dionisiache. Il
collegamento con tale origine è ancora così
vitale al tempo di Aristofane che in una delle
sue commedie, gli Acarnesi, il protagonista
Diceopoli mette in scena davanti alla sua casa di
campagna una processione falloforica assieme ai
membri della sua famiglia.
I culti fallici erano diffusi anche in ambito non
dionisiaco questo vaso di Berlino mostra una
donna che celebra un rito fallico (le donne non
partecipavano ai cortei dionisiaci). Berlin,
Antikensammlung VI 3206.
Firenze, Museo Etrusco 3897 coppa attica a
figure nere con gruppo di satiri che porta in
processione il palo fallico, cavalcato da un
vecchio Sileno
33
Coerente con questa origine appare anche
letimologia del termine komodia, che significa
canto del komos. Il komos è il corteo dei
fedeli di Dioniso in festa, ebbri di vino, che
rivolge agli astanti scherzi e provocazioni anche
pesanti, con linguaggio volgare (skommata) e
aperti riferimenti sessuali. Si tratta di un
nucleo che rimane vitale soprattutto nella
parabasi della commedia antica, che interrompendo
momentaneamente la finzione drammatica ripropone
la situazione del gruppo di comasti che si
rivolge agli altri partecipanti alla festa. In
questo contesto i comasti speso si mascheravano
ce lo testimoniano alcuni vasi più antichi della
commedia (VI secolo a. C.) che mostrano cortei di
persone mascherate da animali. È forse a
situazioni come queste che si richiamano i cori
animalsechi di numerosi commedie (Vespe, Uccelli,
Rane ecc.)
Due vasi attici del VI secolo con raffigurazioni
di personaggi mascherati da uccelli (a sinistra)
e galli (a destra). Si notino nel secondo caso i
mantelli e la presenza del flautista, che
richiamano la successiva pratica dei cori comici
Allo sviluppo della commedia tuttavia
contribuisce anche una componente di origine non
ateniese. Si tratta della cosiddetta farsa
dorica, cui fa più volte riferimento lo stesso
Aristofane. In ambito dorico infatti (Peloponneso
e Sicilia) si sviluppano semplici forme teatrali
di farsa, costituita da situazioni comiche basate
su personaggi e atteggiamenti ripetitivi ad
esempio la ghiottoneria di Eracle, lo schiavo
inseguito e picchiato dal padrone, il medico
incapace e via dicendo. Questo tipo di
composizioni fu coltivato tra gli altri dal
siciliano Epicarmo, contemporaneo di Eschilo, ed
era diffuso nella città di Megara, poco distante
da Atene. A forme di comicità megarese fa più
volte riferimento Aristofane, qualificandole come
comicità da poco. Ad Epicarmo è attribuita
linvenzione dellagone. Alle situazioni della
farsa dorica si ispirano probabilmente le scene
che tipicamente seguono la parabasi, nelle quali
più che allo sviluppo dellazione si punta ad
effetti di comicità immediata
34
Le origini del teatro romano (1)
Benché si sia soliti fissare la nascita del
teatro letterario romano al 240 a. C., anno in
cui Livio Andronico mise in scena la prima opera
drammatica che riportava in latino un originale
greco, le origini del teatro a Roma risalgono
assai più indietro, e riportano ad una fase a noi
nota solo molto frammentariamente in cui la
cultura romana subisce influenze di varia
provenienza. Possiamo solo intravvedere alcuni
momenti importanti. Una importante testimonianza
dello storico Tito Livio ci documenta il primo
ingresso di elementi di spettacolo teatrale in
senso lato nei Ludi Magni dellanno 364 a. C.
videro il primo ingresso della componente
scenica, in occasione dei riti per fermare una
terribile pestilenza che aveva colpito la città.
Livio VII 2 La pestilenza durò anche
nellanno seguente, sotto il consolato di G.
Sulpicio Petico e G. Licinio Stolone ( 364 a.
C.). Perciò non avvenne alcun fatto degno di
menzione, se non che per implorare la pace degli
dèi per la terza volta dopo la fondazione della
città si tenne un lettisternio. E poiché la
violenza della malattia non diminuiva né per i
rimedi umani né per laiuto divino, essendo gli
animi in balia di ogni superstizione, fra gli
altri mezzi tentati per placare lira divina si
dice che siano stati istituiti anche gli
spettacoli teatrali (ludi scenici), cosa nuova
per quel popolo guerriero (fino ad allora infatti
vi erano stati soltanto gli spettacoli del
circo). Questi però furono modesti allora, come
generalmente accade per tutti gli inizi, ed
inoltre importati dallestero. Senza alcun testo
poetico, senza gesti che mimassero il testo,
danzatori fatti venire dallEtruria danzavano al
suono di un flauto con movimenti armoniosi,
secondo luso degli Etruschi. Cominciò poi ad
imitarli la gioventù romana, lanciando reciproci
frizzi in rozzi versi, con movimenti intonati
alle parole. La cosa entrò quindi nelluso, e
attraverso la pratica frequente progredì. Agli
attori indigeni, poiché con parola etrusca
lattore (ludioin latino) era chiamato ister, fu
dato il nome di istrioni questi non si
limitavano come prima a scambiarsi versi alterni
simili ai Fescennini, improvvisati senzarte e
rozzi, ma rappresentavano delle satire ricche di
vari metri, con un canto fissato in precedenza e
accompagnato dal flauto, e con movimenti
appropriati al canto La testimonianza di Livio
ci fa conoscere alcuni dati importanti. Il primo
è lorigine etrusca di queste primissime forme di
ludi scenici. Non possiamo dire che gli Etruschi
avessero già forme di teatro, ma certo la loro
cultura raffinata influenzò fortemente quella dei
Romani. DallEtruria viene anche la parola ister,
che da allora in poi identificherà gli attori.
Inoltre Livio ci attesta linterazione
dellimpulso etrusco con forme popolaresche di
versificazione in contesto scommatico, quali
dovevano essere i versus Fescennini. Il nome
deriva secondo alcuni dalla città di Fescennium,
sul confine fra Lazio ed Etruria, secondo altri
va invece ricondotto al termine fascinum
malocchio, con riferimento al valore
apotropaico dei versi. Importante è anche il
passaggio che riguarda il coinvolgimento dei
giovani romani, che si impadroniscono di questa
pratica e la sviluppano.
35
Le origini del teatro romano (2)
Quando, ontre un secolo più tardi, Andronico
introdusse il teatro greco di carattere serio, i
giovani romani abbandonarono la pratica diretta
di recitare i drammi, lasciando il posto ad
attori di professione, di regola non cittadini
romani. I giovani romani tennero per sé solo una
forma marginale di rappresentazione. Leggiamo
ancora Tito Livio Dopoché con questa forma di
teatro (il teatro alla greca, n.d.r.) la
rappresentazione si scostò dalla comicità e dallo
scherzo sfrenato, e lo spettacolo si trasformò in
vera e propria arte, allora i giovani romani,
lasciata la recita dei drammi agli attori di
professione, presero secondo luso antico a
lanciarsi scambievolmente comici lazzi in versi
di qui nacquero le farse finali, che furono
assimilate poi generalmente alle Atellane i
giovani romani mantennero per sé questo genere di
spettacoli importato dagli Oschi, e non permisero
che venisse contaminato dagli attori di
professione perciò è rimasta la norma che gli
attori delle Atellane non siano rimossi dalle
tribù e prestino servizio militare, in quanto non
sono attori professionisti. Questo secondo passo
da una parte ci documenta molto bene
latteggiamento diffidente della società romana
nei confronti del teatro di derivazione greca,
dallaltro chiama in causa una seconda componente
importante dellesperienza teatrale romana delle
origini quella di una forma popolare di farsa
chiamata Atellana dal nome della città di Atella,
che si trova poco a sud di Roma in direzione
della Campania, in una regione abitata dalla
popolazione italica degli Oschi. Questa forma di
teatro popolare era caratterizzata da semplici
situazioni farsesche di cui erano protagonisti
alcuni personaggi tipici come Bucco, il
Mangione, Dossennus, il gobbo astuto, Maccus,
il personaggio un po stupido. È probabile che il
tipo di comicità che caratterizza le Atellane
abbia poi influito anche sul teatro di
derivazione greca ad esempio molti studiosi
ritengono che la comicità di Plauto risenta
fortemente, nelle sue componenti più basse
dellos tile dellAtellana. Infine, la terza
componente fondamentale nellorigine del teatro
romano è rappresentata dallincontro con le
grandi esperienze teatrali delle colonie greche
dellItalia Meridionale, man mano che Roma si
andava espandendo verso Sud. Sappiamo per certo
che in quelle città cera una fervida vita
teatrale, e conosciamo le rovine di molti teatri
del IV e III secolo a. C. (Taranto addirittura ne
aveva due, non ritrovati). Purtroppo, non
sappiamo con certezza che tipo di spettacoli e
con quali modalità venissero portati in scena
dalle compagnie itineranti degli artisti di
Dioniso. È molto probabile copmunque che fossero
portate in scena commedie e tragedie del grande
repertorio ateniese del V e IV secolo a. C., come
ci testimoniano importanti raffigurazioni
vascolari provenienti dalla Magna Grecia. I
Romani incontrarono dunque il grande teatro greco
e subirono progressivamente linflusso di greci
di buona cultura provenienti dalle colonie.
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